26 marzo 2010

Altre sestine dall'aurea palestra

asterDa L'aurea palestra dell'endecasillabo riportiamo altre tre sestine liriche; la prima è di Marco Gratisanti, che risponde per le rime a una precedente sestina di Daniele Ventre che trovate qui; la seconda è di Ventre in risposta, sia pur non per le rime, a Gratisanti; la terza di Gratisanti, che nuovamente risponde a Ventre per le rime.

(Diversamente che nell'altro post, non coloriamo le parole-rima; sia perché ci sarebbe tedioso farlo ognora, sia perché ormai grazie alle colorature precedenti dovreste aver capito come va costruita una sestina, se non siete imbecilli.)




Marco Gratisanti

SESTINA

«LA VERITÀ, INVER, MAI
FU NE L’OMBRA»


La verità, inver, mai fu ne l’ombra,
Ma inver talvolta tutto pare un gioco
Che l’essere e il contrario son un eco
Abisso tra infinito incontro al buio
Ove è lasciata cader una rosa
Senza colore, ignuda, e senza nome.

Non si sofferma troppo sullo nome
L’imago che di me ride nell’ombra
Da sola a levar petali alla rosa
Incominciando un maledetto gioco
Urlando come demone nel buio
Che, piano, pensa di parlar con l’eco.

Senza alcun genere dimena l’eco**
Nell’Ade insieme ad altri Senza Nome.
Ancora piano, brancolo nel buio
Tendendo e insiem temendo che oltre all’ombra
Che forse senza luci fletto al gioco
Mi sia gittato dardo come rosa.

Colorata di sangue è questa rosa
Ma’* aulentissima o fresca come l’eco
Lungi in un altro tempo come gioco
Bisbiglia Amore e un mai sentito nome
Che imagino sia inciso qui nell’ombra
Ma non posso vederlo perché è buio.

Dunque s’acqueta tutto dentro al buio
Svanisce nell’empirico anche il rosa
Assiem all’altre conoscenze in ombra
Che sono evanescenti come l’eco,
E di per sé non sono altro che nome
Dall’umano sapere messe in gioco.

Sembra quasi finire questo gioco,
Come in quel delle carte aperto al buio,
Obliato ho già di tutto anche ’l mio nome,
E sembra senza petali la rosa;
Rimane sola in questa grotta l’eco
Sfinita a dialogare con un’ombra.

Ora ti parla l’ombra, stai un po’ al gioco:
Non ti spaurar di quest’eco nel buio,
Che sono della rosa il vero Nome.



Daniele Ventre

SESTINA

«SPETTRO DI FORME
A RAGGIRARE
GLI OCCHI
»


Spettro di forme a raggirare gli occhi,
per la specie riflessa in acqua o in vetro,
spesso inganna la mente al poco giorno,
come per vista a cui receda fuoco,
o per raggio disperso orma di luce,
ove a nube si tenda arco nei cieli:

ombre che mira chi, fra opachi cieli,
a remota foschia spinga i suoi occhi.
Ben così da un ambiguo orlo di luce
slittano sguardi per obliquo vetro
che distolga dal vero il fatuo fuoco
dei volti dileguati al tenue giorno.

Sì potresti cercare il rado giorno
d'alcuna verità che schiuda ai cieli
le ragioni incantate al sacro fuoco
cui distillano angosce, esuli, gli occhi:
già più non ne otterrai che, elusi in vetro,
fiochi fantasmi di scomposta luce.

Non c'è, per noi, che la mentita luce
della falena al simulato giorno,
se al destino l'attrae lampada in vetro,
distoltane la via dai noti cieli:
tanto, a quel sole falso, offusca gli occhi,
che nel sogno si perde, esca per fuoco.

Perciò non consumarti al vano fuoco
che seduce la mente a vuota luce;
o troppo avverso ferirà i tuoi occhi,
per odioso risveglio, un truce giorno;
troppa violenza s'ha da fare ai cieli,
perché s’aprano a te limpidi in vetro.

Ben ti vedrai tu mosca arresa in vetro,
se non ripari a più modesto fuoco;
nitido osserva quei remoti cieli
piegata al senno la smagata luce:
ben tu conoscerai che vano giorno
in fredda alba a miraggi illuda gli occhi.

Così calore d'occhi o freddo vetro
nel breve giorno ci delude, il fuoco
di scoprire altra luce ai muti cieli.


Marco Gratisanti

SESTINA

«EDENICO CANTORE,
PUR SENZ’OCCHI
»


Edenico cantore, pur senz’occhi,
Potrei sentire l’alma chiusa in vetro,
Ma che risplende come in pieno giorno
E che può trasformar gelido fuoco
Senza necessitare della luce,
Perché essa sempre ascende sopra i cieli.

E non furono mai sì chiari i cieli
Come gli accenti partiti dagli occhi
Che alle palpebre chiuse copron luce
Sebbene s’indovini dietro il vetro
E con il Sol dall’altro, caldo il fuoco
Sopra gelide membra incontro il giorno.

In questi tempi equinoziali il giorno
Che per metà ci mostra sopra i cieli
Calma notturna in buio, e vivo fuoco,
Ambedue facce stesse prive d’occhi,
Come incantato nella sfera in vetro
Pare, ed intorno i fiori a dire luce.

Anche se poi non v’è di molta luce
Da dilicati fiori intorno al giorno
Adorna, in annerito al fumo vetro,
Che quasi niente più volgiamo ai cieli,
Causa nera foschia ch’asconde gli occhi
E lascia ’maginare solo il Fuoco.

Ma vengono dei fuochi uniti in fuoco
Che vita danno a speranze di luce,
E luci di persone, ovvero gli occhi,
Anche di notte vedono un bel giorno
Che durerà in eterno oltre quei cieli
Guardando stelle pure senza vetro.

Non v’è più sabbia qui per fare il vetro,
E non v’è freddo, eppure non v’è fuoco.
Che sia salito alfine sopra i cieli
Poiché circonda ogni cosa la luce
Che tutto intorno è Sempiterno giorno?
No, non c’è inganno, e vedo con altri occhi.

Sette occhi che son spirti in chiaro vetro
Ritti lì al trono di Giorno e di Fuoco
Parlano Luce. Non son muti i Cieli!



* Mai.

** Verso cacoritmico, che il Maestro Palasciano suggeriva di correggere in «Senza genere alcun rimedia l'eco».

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