28 aprile 2010

Il linguaggio della mediocrità

Riportiamo, cavandolo dal group La Superbia punita, un intervento di Andy Violet che si aggiunge alla serie riportata nel post Il dopo-slam: Caserta come Sodoma.

L'analisi di Ventre mi trova, nemmeno a dirlo, puntualmente d'accordo. Aggiungerei alcune piccole osservazioni. Oltre alle ragioni già esposte, il declino della poesia è imputabile, a mio parere, anche ad un generale processo di deverbalizzazione culturale. Intendo, con questa espressione, il progressivo impoverimento del vocabolario di base, che porta con sé effetti devastanti quali la regressione delle capacità astrattive e di pensiero complesso. Le parole perdono la loro identità, la sinonimia si fa evascente, certi lemmi allargano a dismisura l'ambito semantico, altri scompaiono. Non è puro livore stilistico: ne viene lesa la capacità di intendere e di volere, si passa ad una regressione darwiniana dall'uomo all'ominide. Nulla di nuovo, in realtà: è un processo intimamente legato a fattori di potere, un processo gerarchizzante, il cui disegno osceno è però più evidente da circa mezzo secolo o poco più a causa del moltiplicarsi delle possibilità di accesso alla verbalità (i media). Il processo attuale, quindi, è ancora più perverso: se prima vi era scissione tra alfabeti e analfabeti, ora è all'interno dell'alfabetizzazione che si costruiscono modelli verbali fittizi, maschere semantiche all'interno di un perverso gioco di retorica. Si costruisce così un linguaggio medio che è linguaggio della mediocrità, un linguaggio conformante, e non performante come vorrebbe il buon Ventre. Pensiamo solo al valore oscenamente ideologico della storpiatura di laicità in laicismo. La scelta della poesia, come scelta consapevole di allontanamento dalla palude dell'italiano standard, è una guerriglia culturale in cui il guerrigliero si forgia le armi con le proprie mani.

27 aprile 2010

Dalle stelle alle stalle: altro che Ipazia

La dottoressa Cavallo ha risposto al nostro Presidente (vedi post precedente): «Caro signore, io non uso linguaggi infarciti per esprimere le mie opinioni... non ho bisogno di esercizi di vanagloria. Né di dimostrare le mie conoscenze nel campo della linguistica, della semiotica o dell'estetica. La sua supponenza, che sfocia fino all'offensivo più triviale vigliaccamente mascherato, mi fa venire il vomito, per cui la chiudo qui. Continui pure a sentirsi grande con poco: i palloni gonfiati in fondo sono solo pieni di aria. Tanto niente cambierà il fatto che questo film è un'operazione commerciale [...]. E, leggendo il vostro commento, mi rendo conto che c'hanno preso alla grande. Boccalone». Ad altri, diceva la propria opinione «espressa con il lessico che reputo più adatto e senza attaccare nessuno». Ed ecco la controrisposta di Marco Palasciano (cui è seguita la cancellazione da Facebook di tutto il dialogo, tipo scacchiera abrasa da manata, non sappiamo se a opera della dottoressa Cavallo o dell'amministrazione del group):




Cara Cavallo, anch'io ho espresso la mia opinione usando «il lessico che reputo più adatto»: quel ch'uso sempre, a me connaturato. Ma tu me l'hai spregiato, duepesiduemisuratoria, venendo a dire «io non uso linguaggi infarciti per esprimere le mie opinioni»... anziché inchinarti alla polena sulla punta dell'iceberg del mio genio! Non sarò io libero di dire la mia quanto tu la tua? certo, tu faresti meglio a tacere, considerato che finora qui non hai adoperato un argomento critico che sia sufficientemente valido, esponendoti al giusto bacchettìo degli intelletti sani (donde il mio scaccomatto in poche mosse): hai solo tenuto a informarci ex abrupto – mossa da impulso ch'altri avria frenato – che per te il film è una «porcata», fregandotene che questo semema (o come spaccema si dice) potesse offendere chi da quell'opera ricavò emozioni sacre, sacre quanto per altri un’acquasantiera, che tu usassi come sputacchiera. Hai una laurea in Scienze della Comunicazione! e usi «porcata» così alla leggera sulla bacheca d'un gruppo fondato per amore di Agora? come andare nel gruppo Finalmente Bob Dylan in Cina e dire «Blowin' in the Wind è una porcata»: ma allora dillo che volevi solo provocare, provocare una caciara. Ebbene, sei stata accontentata; di che ti duoli? Signori, dovrei offendermi io (se non trovassi teneramente buffi certi exploit) per essere stato definito dalla dottoressa, nell'ordine: vanaglorioso, supponente, triviale, vigliacco, pallone gonfiato, boccalone. L'è da morir dal ridere. Lei non sa chi sono io! S'informi; e arrossisca. Quanto poi al suo ridurre questo film a un'«operazione commerciale», dando dei fessi a tutti i suoi amatori, è mossa falsa quanto sarebbe il dire che l'Ulisse di Joyce è pornografia. Ma si rende conto o no di tutto ciò di cui non si rende conto? In ogni caso, lasciamoci così, senza rancor. Grazie, anzi, per avermi fornito l'ennesima occasioncina d'esercizio dialettico, che non fa mai male (tranne a chi l'ironia non sa che sia).

Palasciano difende Amenábar

Riportiamo la meravigliosa risposta del Presidente dell'Accademia Palasciania alle parole della dottoressa Cavallo che in Facebook (group «Agora» (il film su Ipazia di Alessandria, Amenábar 2009) in Italia!) ha detto del film del regista cileno Alejandro Amenábar Agora: «Mamma mia, che porcata. Quasi peggio di Troy... retorico, insulso, banale. La solita americanata che minestroneggia sulla cultura greca e latina», ella precisando: «Il mio commento ha origine da queste osservazioni: 1. una fotografia [...] tremendamente patinata; 2. un’attrice protagonista sempre col make up perfetto e i capelli scompigliati ad arte persino alla fine, quando viene ammazzata nuda, giusto per strizzare l’occhio al pubblico attirato dalle grazie di Rachel Weisz; 3. il film è permeato da una suspension of disbelief pazzesca! una serie di dialoghi accozzati per far capire, già dopo la prima mezz’ora, che lei arriverà a scoprire che l’orbita della terra è ellittica [...]; cosa che tra l’altro è inventatissima, perché, come si dice alla fine del film, non è stato ritrovato alcun documento scritto da lei; che se il film fosse durato mezz’ora di più sarebbe arrivata a inventarsi il telefono? 4. [...] la cosa più patetica del film sono le riprese della terra dall’alto; sembrano Google Maps». Ed ecco la risposta di Marco Palasciano:



Ma, gentile Cavallo, si tratta di arte, non di un documentario. Se lo lasci dire da un Alfiere dello stile come me, che ho scritto uno storico romanzo storico con le cabine telefoniche nel 1815 messe apposta, nonché gli orologi da polso e le macchine per scrivere (per non parlare dei corvi parlanti in tabarro e gibus).

Quello che conta non è difatti l’evenemenzialità, ma l’exemplum. Ipazia è un simbolo. Quindi ci sta benissimo che chi ha scritto il film abbia sovrapposto alla sua figura un po’ di Keplero, o che abbia resuscitato il vanesio Sinesio di Cirene per metterlo sulla scacchiera della narratio un paio d’anni dopo la sua morte (per giunta capellone; ed era calvo). Agora nasce come opera simbolocentrica, non storicocentrica.

Deve capire che la realtà e la verità sono due cose diverse (si pensi alla funzione sintetica ecc. del mito). Questo film racconta la verità, e lo fa rimodellando la realtà contingente: esattamente quello che può e deve fare un artista. Viva la metastoria e guardiamo alla luna, per favore, non al dito.

Che poi la fotografia sia patinata o l’attrice ben truccata, non capisco perché dovrebbe costituire un intoppo: forse ella dimentica che a teatro gli attori si bistrano gli occhi da secoli, per tacer dei millenari coturni ad aumentarne la statura, o di come cantano i cantanti lirici, o di Picasso. Il realismo in arte (oggi che deve ascendere il mio bel Neobarocco) lasciamolo agli artigianelli senza fantasia. Quando ella vede un film di Greenaway, santi numi, cosa fa? si straccia le vesti?

Infine: le riprese dall’alto e dall’altissimo – quello che a lei sembra il tratto più «patetico» del film (ma il film doveva di per sé essere, e difatti era, [nobilmente] patetico, nel senso di muovere al pathos le anime [nobili]: io ero ebbro di catarsi, e gli applausi a fine proiezione* li ho iniziati io, e io li ho finiti, a metacarpi dolenti) – è per me invece il tratto più azzeccato. Il punto di vista è (quasi) tutto, in arte cinematografica; e farlo muovere al di sopra delle meschinità terrestri, in quest’opera, era d’obbligo, considerato il tipo di contrasto che essa viene a raccontare: la genuina uranotropia dei filosofi, nei quali è naturale la virtù, versus la ctoniotropia dei sedicenti vicari dell’Iperuranio, che in suo nome snaturano l’umano. E se un tale gioco ottico le ricorda troppo Google Earth, pazienza: a me la Gioconda ricorda tavolozza e pennello, pensi un po’.

Se le sue argomentazioni per definire questo film una «porcata» ecc. erano quelle che poc’anzi ho così facilmente disintegrato in polvere, ombra, niente**, le consiglio di non darsi mai all’hobby delle dispute estetiche, o etiche, ma neanche ludiche. E di contare fino a settanta volte sette, prima di cacciare stroncature iperboliche passibili di farle fare macerrima figura innanzi all’ecumene.

Cordiali saluti, suo correttor fraterno

Marco Palasciano

* Cinema Filangieri, Napoli, 24 aprile 2010, proiezione delle 20.00.

** Chiusa del barocchissimo sonetto di Góngora Mientras por competir con tu cabello nella traduzione di Ungaretti.

24 aprile 2010

Ricordando Giuliano Preparata


Giuliano Preparata (in basso) con Emilio Del Giudice.


Oggi, 24 aprile 2010, l'Accademia Palasciania ricorda non tanto il ventesimo anniversario del lancio del telescopio orbitale Hubble (ce ne eravamo, infatti, scordati) quanto piuttosto il decimo anniversario della morte di Giuliano Preparata, geniale scienziato la conoscenza della cui opera dobbiamo – e ne ringraziamo il Fato – alla conoscenza della  sua gentilissima nipote Margot, nostra socia, nonché amica sororale del Presidente dell'Accademia (a sua volta nipote, o meglio pronipote, d'uno scienziato insigne, com'è noto).

Opera, quella di Preparata, d'altissimo valore, pressoché universalmente riconosciuto. Qualche anno fa si tenne a esempio in Napoli, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, una serie di lectiones magistrales da parte di personaggi del calibro di Carlo Rubbia, Premio Nobel 1984 per la Fisica, per dirne uno, o, per dirne due, di Martin Fleischmann, pioniere della fusione fredda; e fu in occasione di tali magnifici convegni, arricchiti fra l'altro dalla presenza del suo stretto collaboratore Emilio Del Giudice, che iniziammo a conoscere la figura scientifica e umana di Preparata, e ad apprezzarne la lucentezza.

Colpisce l'immaginazione, in particolare, la teoria della Oneness, ovvero dell'universo come campo quantistico unitario. Teoria che rappresenta uno dei contributi più rilevanti che la fisica quantistica abbia offerto alla visione unitaria della realtà, permettendo fra l'altro di comprendere l'evoluzione in termini unitari, dalle particelle elementari all’organizzazione della vita biologica. Più in generale, secondo tale teoria vi è una profondissima interrelazione tra ogni elemento fisico (campo-particella) che costituisce la realtà. Scrive Preparata stesso, in proposito:


La Oneness emerge dalla comprensione profonda del concetto di campo quantistico. L'Universo è un unico campo. Il campo è la Oneness dell’Universo. La Oneness è il trionfo dell'unità, è l'unità del mondo, è che il mondo è UNO e le particelle e ogni fenomeno sono un aspetto di questa Oneness. In altre parole, il mondo è uno, e tu lo parcellizzi con la tua scelta di osservarlo in una certa maniera. L’osservatore non vede più tutto il mondo, ma vede un pezzo, ne taglia una porzione e vede cosa succede in quel pezzo... ma ciò non significa che tu rompi o disgreghi l’unità dell’Uno, l’origine è l’Uno e questa è la base del Tutto. La materia e il campo sono gli stessi in tutto l’Universo...

La coerenza è la realizzazione piena e totale della Oneness. Secondo la teoria quantistica dei campi avanzati, a cui siamo arrivati, c’è questo campo "Uno", nello spazio-tempo, la Oneness. La coerenza nasce proprio dalla stessa struttura concettuale di questi campi che poi, per miracolo, si realizza come fatto reale della natura e quindi come generatore di fenomeni osservati. Quindi i campi quantistici che descrivono la realtà fisica Una, lo fanno in questa forma unitaria in cui pezzi diversi vengono correlati, in maniera ben definita e coerente, con altri pezzi di spazio e di tempo. La coerenza è appunto questa realizzazione della teoria quantistica dei campi, un "Avatar", inteso come "incarnazione", matrice, epifania del divino. La Oneness, attraverso la coerenza, avrebbe la possibilità di tenere insieme il mondo, quindi da questo punto di vista la coerenza è il punto forte...

La teoria della coerenza elettrodinamica quantistica ha a che fare con l’interazione fra campi di materia e campi elettromagnetici all’unisono, su certe frequenze portanti particolari, con certe relazioni di fase. La teoria della coerenza elettrodinamica quantistica è una particolare realizzazione dell’aspetto coerente della teoria quantistica dei campi a cui inizialmente avevamo dato il nome di "superradianza", termine coniato da Robert H. Dicke, fisico di Princeton che fu il primo a concepire questo comportamento coerente, di oscillazioni in fase, fra sistemi atomici e campi elettromagnetici, che poi ha portato al laser e ad altre scoperte. Di fatto, avrebbe dovuto chiamarla iporadianza, perché a differenza di quello che succede al laser, che lavora in uno stato eccitato, il campo elettromagnetico non viene proiettato al di fuori del sistema, come un raggio laser che esce, ma rimane intrappolato nel sistema atomico e ne garantisce un’evoluzione coerente. Per cui il campo elettromagnetico coerente e interiorizzato è il collante dei sistemi, degli individui atomici fra loro.

La vita è quindi un delicato equilibrio tra coerenza e non coerenza.

A quest'uomo, da alcuni quarkquarkquà* considerato un eretico, l'Accademia Palasciania dedicherà nel corso del 2010 – anno inoltre, de facto, del revival dell'a noi carissima Ipazia (giusto oggi una nostra delegazione si recherà al cinema a godere l'attesissimo Agora di Amenábar, mentre in tutta Italia si moltiplicano le presentazioni del toccante romanzo di Colavito e Petta Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo) – una degna celebratio scientifico-poetica.

Scientifico-poetica: difatti Preparata, disgustato dalla ristrettezza di finestrame gnoseologico e dalle grottesche capriole etiche dei soliti baroni, ostili – per loro perversa natura – ad ogni correzione paradigmatica, era incline all'abbattimento di ogni parete divisoria tra il settore scientifico e il settore umanistico, a onta delle prassi impazzite, incoraggiando con appassionato fervore l'osmosi tra i letterati e gli scienziati e la propagazione capillare delle reciproche meraviglie.

Principio, tale sfondamento parietale ed osmosi culturale, che rientra propriamente fra quelli più sacri alla nostra «accademia di nulla accademia». Per questo motivo noi amiamo particolarmente la figura di Giuliano Preparata, ed è nostra intenzione onorarla quanto più nobilmente e spettacolarmente si possa, pur nella povertà dei nostri mezzi. Al più presto maggiori informazioni.



* quarkquarkquà (da quark e quaquaraquà): scienziati dalla scarsa consistenza morale.

22 aprile 2010

La nostalgia della scuola di cinema

Riportiamo la presentazione del gruppo Chi passò per la Libera Università del Cinema, creato in Feisbuc dal nostro Presidente; che fu allievo regista in quella struttura, sedici-diciassette anni or sono, e ne ha vivo ricordo e nostalgia.




CHI PASSÒ
PER LA LIBERA UNIVERSITÀ
DEL CINEMA

Frequentai la scuola nel 1993-1994, e ne ho un ricordo fiabesco. Tra l’altro fu l’ultimo biennio nel quale fosse in vita materiale il mitico Leonviola, l’antichissimo direttore, scomparso dalla scena dell’universo pochi mesi dopo la mia «laurea filmica». Successivamente non mi sono molto occupato d’arte cinematografica; anzi si può ben dire che quel periodo, aureo quanto si voglia, non sia stato che una digressione dal mio percorso base, la letteratura; ma forse un giorno diverrà inevitabile che io transiti nuovamente per il regno della pellicola (quando probabilmente la pellicola non si userà più), per completare il cerchio espressivo della mia poetica. Intanto per commossa nostalgia, in quest’alba d’aprile, ho pensato d’aprire questo Group e chiamare a raccolta (dall’Italia, dal Messico, dall’Egitto, dall’Islanda...) i compagni di studi registici d’un tempo, e quant’altri ex allievi – e magari anche allievi del presente – si trovino qui in Facebook. (La migliore amica che io abbia trovato alla Libera Università del Cinema – Rosa Viscardi – è però allergica a Facebook, e non ci entrerà mai; ma pazienza.) Naturalmente sono benvenutissimi non solo i discenti, ma anche i docenti: prima fra tutti Sofia Scandurra, se mai passasse di qui. E anche tutti gli amici che in un modo o nell’altro ruotano o hanno ruotato, sia pur solo d’un minimo di gradi, intorno a quel pezzetto di mondo fra Zagarolo e San Cesareo dove ho trascorso i due anni forse più belli della mia giovinezza, e che manco di visitare da troppo tempo, incastrato come sono nei miei ozi capuani di poeta filosofo, semivecchio e caotico. Viva il cinema,


Marco Palasciano

20 aprile 2010

Il dopo-slam: Caserta come Sodoma

Riportiamo, cavandola dal group di Facebook La Superbia punita, una serie di interventi – rimontati e introdotti dal nostro affezionato S.O. Nicola Legatore – dedicati all'analisi di quanto accaduto il 16 aprile 2010. Buon divertimento.




POETRY SLAM:
UNA PRATICA IRCOCÈRVEA

CHE ABBASSA LA POESIA
ALLE MISERIE DEL VOLGO

ANZICHÉ INNALZARE
IL VOLGO ALLA POESIA


INTRODUZIONE

Non ho mai avuto occasione di assistere a un poetry slam; e credo che mai mi recherò di mia volontà ad assistervi, dopo aver ascoltato il resoconto di Palasciano e Maggio che ne sono stati attori, e di Ventre e D’Angelo che ne sono stati spettatori.

Chiariamo subito che il problema non è chi sia arrivato tra i primi tre classificati, infine meritevolmente (ché il requisito di merito richiesto – a quanto poi s’è capito – erano i «toni medi», la Giuria sdegnando i piú «alti» insieme coi piú «bassi»: si immagini una torre che un architetto pazzo pieghi a Λ, col soffitto capovolto e posto allo stesso livello del pianterreno). Il problema è chi sia arrivato tra gli ultimi tre, e mi riferisco in particolare al Penultimo: Uno che – ci scommetto la mia verginità posteriore – a Stoccolma entro il 2050 sarà nobelato, mentre a Caserta nel 2010 è stato snobbato.

Difatti lo slam che qui documenterò – limitandomi a riportare commenti tolti da altre parti di Facebook – si è tenuto lo scorso 16 aprile in Caserta, «capitale europea del degrado culturale oltreché ambientale» (mi dicono), presso il Teatro Civico 14; il quale teatro, però, contingenze a parte, essendo nella sostanza (mi dicono gli stessi) «un’oasi d’arte e impegno in un deserto di trash e ignavia», non porta pena.

Colpevole è stata solo la Giuria, composta di persone scelte a caso tra il pubblico; o meglio quella parte di Giuria che ha espresso voti fuori d’ogni logica e decenza (piú fuori che mai quelli d’un membro che gli organizzatori onoravano del titolo contraddittorio di «poeta»), offendendo Apollo, le Muse ed ogni morto o vivo Poeta autentico – il cui sudor sia sangue e il sangue oro – presente o contumace al poetry slam in questione.

Quanto alla pratica del poetry slam in generale, attendiamo testimonianze ulteriori; intanto, l’impressione che ce ne viene è quella sintetizzata nel titolo di questa discussione. Fino a prova contraria, ecco cos’è per noi – noi amanti della conoscenza, noi sposi dell’immaginazione, noi accademici avanti tutta di nulla accademia – un poetry slam: una pratica ircocèrvea che abbassa la Poesia alle miserie del volgo anziché innalzare il volgo alla Poesia. Intendendo per «miserie» – ovviamente – le miserie spirituali: l’ottusità dell’angolo visuale, la pigrizia di comprendonio, la cultura codina e la grossolanità del gusto che caratterizzano l’uomo medio.

E meno male che a rialzar la media nasce ogni tanto un uomo che ne vale cinque, tipo un Eratostene, un Avicenna, un Leon Battista Alberti, un Leonardo, un Athanasius Kircher, un Leibniz, un Albrecht von Haller, un Goethe, un Palasciano: ultimo, magari, o penultimo – ma in diversa accezione, mon escient, che a Caserta lo scorso venerdí.
Procedo a riprodurre i documenti.



STATUS DI PALASCIANO

Classificato penultimo, ma con soddisfazione d'aver detto «somari» alla Giuria davanti a tutti (prima del voto del ripescaggio; o che sfizio ci sta?). Si salvano le due dame che volevano ripescarmi, e l'organizzatrice (Anna Ruotolo) che in segreto tifava sol per me fin dal principio. Terzultimo Antonio Maggio con le sue sestine liriche e altro carbonato di calcio in forma sferica per artiodattili commestibili dal tegumento roseo. Immaginate i commenti di Daniele Ventre.



COMMENTO DI LEGATORE

La cosa è di un non trascurabile interesse antropologico. Sarebbe stato più o meno normale, difatti, che il Palasciano, semplicemente, non vincesse, dato che le sue poesie non sono fatte certo per i gusti della massa; ma che egli sia [...] arrivato penultimo [...] è veramente un sintomo inquietante [...]. Queste cose in Toscana non succedono. Venite qui la prossima volta che desiderate declamare le vostre poesie, tu e Maggio, e magari pure Ventre, colendissimi! Ça va sans dire: nemo propheta in patria.




COMMENTO DI D'ANGELO

E' stato il trionfo dei toni medi. Le poesie di Marco erano agli antipodi dei gusti della giuria. [...]



COMMENTO DI PALASCIANO

Tra l'altro, il migliore tra i cinque finalisti (Iannone) è finito... indovina?... quinto.



COMMENTO PRIVATO ALTRUI

[...] penso che le dinamiche dello slam siano discutibili. Penso anche che la giuria, fatta eccezione per Napolitano, era altrettanto discutibile. [...]



RISPOSTA DI PALASCIANO
AL COMMENTO PRIVATO ALTRUI

[...] il più discutibile della giuria era proprio Napolitano, visto che è stato lui a darmi il voto più basso [...].

In ogni caso, ciò di cui più mi dolgo è di non essere arrivato ultimo, ma solo penultimo; lo scandalo sarebbe stato massimo, mi sarei divertito per mesi, invece così mi divertirò solo per giorni.



COMMENTO DI ANNA RUOTOLO

Marco, Marco... tu sei stato fantastico! Stamattina tutti a casa mia parlano di te e sentirò ancora in giro apprezzamenti e commenti entusiastici. Hai portato avanti la tua "strategia" di lettura con l'entusiasmo e la forza propri di uno slam. La giuria è popolare, è scelta a caso, lo sai... e comunque non è l'elemento più importante di un poetry slam. Bisogna, piuttosto, considerare l'impatto sul pubblico. E quello, caro mio, è tutto a tuo favore. Non sai che piacere sia stato averti avuto a Su il sipario. [...]



CITAZIONE BIBLICA DI PALASCIANO
(GEN 19, 12-16)

[12] Quegli uomini dissero allora a Anna Ruot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in Caserta, falli uscire da questo luogo. [13] Perché noi stiamo per distruggere questo luogo e tutti i suoi abitanti: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli».

[14] Anna Ruot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: «Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!». Ma parve ai suoi generi che ella volesse scherzare.

[15] Quando apparve l'alba, gli angeli fecero premura a Anna Ruot, dicendo: «Su, prendi tuo marito e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolta nel castigo della città di Caserta». [16] Anna Ruot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lei, suo marito e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lei; la fecero uscire e la condussero fuori della città.



COMMENTO BREVE DI VENTRE

Lette alcune poesie di Giuseppe Napolitano. Curiosamente, il tono stilistico di alcune parti delle sue liriche (le scelte lessicali piuttosto levigate, tendenziale monolinguismo, con uno stile "medio" che in realtà contiene spinte verso l'alto e verso il colloquiale), la forma metrica (verso libero che rasenta l'endecasillabo e il martelliano, o talora rifà certe forme di versificazione meno visitate, come il dodecasillabo "trocaico" armonizzato di un quaternario e di un ottonario), le tematiche esistenziali di un certo tipo, avrebbero dovuto rendergli congeniali almeno alcune poesie di Antonio Maggio.

Il sospetto è che quest'ultimo, per peculiarità che gli sono proprie sul piano strettamente stilistico, sia stato da lui associato a forme di neo-ermetismo e di neo-orfismo (ripescaggio di Sentimento del Tempo, con tanto di sestina lirica), che cretinamente la critica contemporanea bandisce, preferendo forme di intimismo bleso, che rifà male in ordine sparso l'ultimo Montale, certo Sanguineti, Amelia Rosselli, Sandro Penna.

Quanto a Marco, l'effetto è stato quello che ha suscitato la prima mostra di Modigliani fra il pubblico della Francia dell'epoca (non so se rendo l'idea).



Altre scelte dello slam, come la relegazione di Iannone al quinto posto, o il secondo posto del poeta vernacolo che meritava assai di più, sono indicative di una selezione di un certo tipo (di una selezione del cavolo, properly...).

E meno male che per sopravvenuti problemi di internet non ho partecipato. Ci mancava solo il bando del collega anziano poeta in giuria che ha pubblicato la prima volta con il concorso non secondario del fatto che suo padre era uno scrittore... Ma tant'è. Ormai tutto è sospetto.



COMMENTO DI MAGGIO

[Legatore, ti] ringrazio, il trasferimento in terra toscana (in fondo nelle vene mi scorre un quarto di sangue senese) è cosa auspicabile; immagino già di recitare versi assieme al Ventre e al Palasciano tra le verdi campagne che diedero i natali al Petrarca e andare a recuperare energie fisiche ed emotive sul sepolcro di Ugo Foscolo a S. Croce.

[Anna,] ti ringrazio di tutto e ti abbraccio con affetto: sei stata brava, carina e gentile con tutti i partecipanti, hai saputo creare una serata piacevole e divertente e mettere a loro agio anche coloro i quali non erano avvezzi al palcoscenico di un teatro e all'utilizzo di un microfono.

[...] Danie' non ti crucciare... bisogna sempre mettersi in gioco, ieri è stata una bella serata ed un'iniziativa molto stimolante. Servono queste cose altrimenti finiamo tutti come quella signora che su Fb dona magari il suo apprezzamento a chi cita le canzoni di Alessandra Amoroso, e dice a me che devo cambiare spacciatore perché mi sono permesso di citare Montale...


La giuria è giuria, croce e delizia di qualsiasi gara... Io ammetto di essere rimasto stranito solo della valutazione di Giuseppe Napolitano, che, essendo un poeta piuttosto affermato, di certo ha compreso la poesia mia, e quella di Palasciano, sia sul piano formale sia su quello comunicativo. E l'ha bocciata a prescindere (questa è la mia impressione), non so ora se per il problema "ungarettiano" che ti poni tu o per altre più semplici motivazioni. [...] forse non gli andavamo a genio [...].



COMMENTO LUNGO DI VENTRE

Chiariamo una serie di punti.

Ovviamente non viviamo, ahimè, in un'epoca di oralità primaria, né in un'epoca di presunto ritorno dell'oralità primaria.

In una civiltà orale-aurale pura, la poesia (che è magia e preghiera al tempo stesso) è infatti l'unica forma di testualità (impropria) possibile, ed è una testualità aperta (un'ipertestualità permanente) che permea tutta la dimensione socioculturale del gruppo, ne costituisce l'identità ed è fondamentale per la sopravvivenza dei singoli e del gruppo stesso, non meno dei colori rituali dei guerrieri e degli sciamani. Certe subculture (il rap nella sua dimensione autentica, ad esempio) esprimono in qualche modo questa forma di oralità-auralità, ma come fenomeno di ritorno, in uno statuto di marginalità.

La poesia, in una civiltà aurale, che conosce la scrittura come forma di registrazione ai fini della futura declamazione, vive in una dimensione non troppo dissimile dall'oralità, almeno all'inizio. Con una differenza fondamentale: il testo scritto circoscrive l'identità dell'autore. Fra il pubblico e l'autore la pagina e l'atramentum si frappongono come un sottile, invalicabile muro, una membrana i cui canali osmotici si vanno progressivamente inspessendo, nella misura in cui la civiltà letteraria si cristallizza nella carta, dalla testualità della prima epopea, alla lirica, al teatro, all'oratoria, al dialogo, al trattato filosofico, alla poesia dotta da biblioteca, alla prosa del romanzo e della declamazione. L'unità indifferenziata originaria si è rotta. Il poeta è ora membro di un'élite potenzialmente periclitante. L'avvento della stampa fra medioevo e rinascimento non fa che perfezionare questa situazione. È l'età industriale a incancrenire il problema.

In primo luogo, il poeta perde centralità ai fini della costituzione del gruppo sociale. Il muro cartaceo diventa la sua possibile prigione. La dimensione dell'incomunicabilità, del millevoltedeclinatoconflittofraintellettualeepubblico (uff!) ne è il portato spontaneo. Fiorisce una generazione di Werther.

L'editoria industriale presuppone poi una letteratura di massa, in un'epoca di civiltà della scrittura, che non può prescindere da pesanti sovrastrutture di controllo, attraverso cui il mercato agisce di fatto sul gusto. La poesia, spettro residuale di oralità in un tempo di carte stampate, si viene affiochendo. Divampata nel Big Bang originario della cultura orale, si viene man mano riducendo a una radiazione di fondo sempre più fredda, coglibile solo con strumenti sempre più raffinati e lontani dal livello comune. Insomma, si trova a dimenticare la sua essenza di parola primaria, percepibile nell'immediato da tutti.

Il poeta, grande o piccolo, mediocre o sublime che sia, quando si confronti con una prova di lettura pubblica, specie se in competizione con altri, finisce per trovarsi davanti, nella migliore delle ipotesi, un gruppo ristretto che fa uno sforzo sovrumano per decondizionarsi dall'environment socioeconomico del mercato postmoderno. Nel caso italico, si aggiungano una sostanziale realtà di degrado e destrutturazione del tessuto culturale medio, in una nazione che ha il più basso livello di lettori in Europa occidentale, insieme a Grecia e Portogallo.

Questo dato ha effetti sullo stile. La poesia che deve apparire sulla scena, è il frutto spesso di solitarie letture e ricerche. Vulnerabile all'accusa di autoreferenzialità; destituita di un terreno d'ascolto fertile; esposta a critiche più che ovvie in assenza dei vecchi canoni formali, che un tempo garantivano almeno la qualità minima della grammatica del genere e sono ormai triturati da due secoli di proclami di originalità, novità, sperimentalismo spesso gratuiti o solo presunti, la poesia presentata in pubblico dal poeta non conosciuto, finisce per costituire un'esca di incendi psichici più che mai violenti: più che in passato, pur considerando che la mania versifica è sempre stata un evento diffuso nelle civiltà letterarie avanzate, sin dai tempi del Suffeno di catulliana memoria.

Teoricamente, una poesia che raggiunga l'orecchio in uno slam dovrebbe essere porta in un certo modo: ciò presuppone una tecnica scaltrita della gestione della voce, tecnica che può essere rischiosa, perché se non condivisa nella percezione degli effetti essenziali, finisce anch'essa per cadere nel vuoto, stante che la nostra civiltà viene nel tempo obliterando anche il teatro (il luogo geometrico di esplicazione delle tecniche vocali), ridotto anch'esso, sovente, a formalismo sperimentalistico.

Oltretutto, una poesia da slam dovrebbe essere strutturata in modo da essere spontaneamente efficace nel momento immediato della produzione-fruizione orale-aurale. Ciò richiede una sostanziale riformulazione di quello che si intende come stile. Si dovrebbe almanco tornare all'inutile maraviglioso mestiere degli improvvisatori settecenteschi, in grado di comporre al momento intere tragedie, fra endecasillabi sciolti e odicine di settenari e ottonari.

Si dovrebbe ricostruire l'idea di poesia come performance, di poeta come performer, di linguaggio poetico come codice eminentemente performativo, nel senso che al termine conferisce Austin nella prima parte della sua ricerca su «come far cose con parole». Su questa ricostruzione di un contesto performativo, di un gioco linguistico, si dovrebbe far virare lo stile. Ciò implicherebbe la volontà da parte del gruppo di addivenire a una condivisione estetica che, apparentemente di livello medio, in realtà ha in sé infinite possibilità di sviluppo creativo, al di fuori della frustrante barriera cartacea che separa il poeta dal suo ipotetico ascoltatore.

Al di fuori di questi parametri, la lettura di poesia come comunicazione rischia di essere un fenomeno stocastico ad alta improbabilità di inveramento. Al di là delle indubbie capacità e delle doti sia letterarie sia personali degli organizzatori. In base alle argomentazioni contenute in tutta questa vichyssoise elucubrativa, io ho ragione di credere che, nello specifico, lo slam casertano di ieri sia un caso tipico di questa alta improbabilità.

Alla dissonanza di fondo, ineliminabile; alla fondamentale non ricettività del pubblico; al fattore campo, insomma; a tutto questo si aggiunga lo strano risultato delle valutazioni della giuria (almeno a mio modestissimo modo di vedere – che il mio modo di vedere sia in realtà immodestissimo, anzi, deliberatamente greve e spocchioso, credo ormai risulti più che palese). Ho ragione di affermare che le poesie di Iannone, con la loro concentrata ricerca di senso e la loro spontanea eufonia; la proliferazione stilistica e la tecnica attoriale di Palasciano; la raffinatezza multiforme di Maggio (forse solo un po' troppo serioso-sopra-i-toni), meritassero qualcosa di più che l'essere snobbate come sono state, di fatto, snobbate. L'unica nota meno agra della serata è stata almeno la valorizzazione parziale della poesia vernacola, il cui autore [Ramelli] ha mostrato un rigore formale e stilistico e un robusto sentire, che sono difficili da trovare.


Temo e sospetto infine, ed il mio timore e i miei sospetti hanno ragioni circostanziate su cui fondarsi, che la personalità letteraria presente fra i giurati abbia agito con atteggiamento francamente paternalistico: condiscendente con tentativi più "alla mano", ha voluto stigmatizzare la presunta non congenialità di certe ricerche formali con una valutazione stroncatoria che, francamente, lascia trasparire soltanto uno scarso rispetto per sperimentazioni letterarie di cui si è percepita la coerenza, ma si è voluta negare aprioristicamente la validità.

11 aprile 2010

Distici genetliaci per Carrino

Copiamo da Feisbuc la surreale poesiola genetliaca in distici endecasillabici che segue, scritta in un minuto da Marco Palasciano per omaggiare in bacheca il caro Luigi Romolo Carrino che oggi compie gli anni, e che intanto col suo ultimo romanzo Pozzoromolo è tra i sedici scrittori attualmente in corsa per il Premio Strega! :)




Mio buon Gigio adorato, tanti auguri,
e spero tu non sbatta contro i muri
come falena contro una lanterna
o intontolito grizzly che mal sverna
contro un tronco d'abete, o trista blatta
contro l'insetticida, ma che sbatta
le palpebre di lieta meraviglia
a vedere che cosa il tuo amo piglia
dal mare del destino in questi giorni
che tutti quanti sfoderiamo i corni
e scongiuriam la sorte che tu faccia
bella figura lì, e non figuraccia,
e dico lì per dire il Premio Strega,
del quale a dire il vero non mi frega
tanto, ché l'importante è lo splendore
che già s'irradia da tua mente e cuore,
e il resto sono orpelli, pelli d'oro
e di disdoro, e nulla un tale alloro
aggiungerebbe al fascino tuo immane,
ma tuttavia se le manovre strane
del fato ti facessero trionfare
vorrebbe dire che le antiche tare
di quell'istituzione malfamata
si son guarite ed è purificata,
e la dissoluzione d'ogni scoria
sarà provata dalla tua vittoria,
ma intanto solamente ora m'importa
che tu soffi per bene sulla torta
come al soffiar sul vetro e dargli appanno,
e tanti auguri di buon compleanno!

9 aprile 2010

Sedici aprile: esplode la poesia

Venerdì 16 aprile 2010, due eventi scaveranno abissi di splendore nel fegato d'onice di Caserta: alle 19.00 si inaugurerà una mostra di ANGELO MAISTO et alii *, presso l'ex Casa del Fascio di piazza Matteotti; e alle 21.00 si terrà la III edizione del poetry slam Su il sipario, presso il Teatro Civico 14 di  vicolo Francesco Della Ratta. Undici i praeselecti; tra essi il nostro folle, puro, epico** Presidente.





MARCO PALASCIANO

Marco Palasciano – nato nel 1968 a Capua, dove presiede l'Accademia Palasciania – vive per l'arte e per il pensiero e sopravvive da parassita, consumando le giornate nel progettare opere come l'enciclopedia tratta dai suoi mille diari. Finora ha pubblicato solo delle brevi Prove tecniche di romanzo storico e sparsi frammenti, intanto fra l'altro entrando tre volte in finale al Premio Calvino e laureandosi in regia cinematografica, carriera tralasciata per distrazione. Su commissione altrui ha lavorato occasionalmente come drammaturgo, compositore e illustratore. La sua gioia piú grande è improvvisare al pianoforte interi concerti neoclassici e sperimentali***, senza aver mai studiato da pianista, e in seconda istanza recitare i propri testi o dare lecturae Dantis.





RAFFAELE ABBATE

L’autore nasce nella prima metà del secolo scorso in una piangente cittadina di provincia (Benevento). Riceve una educazione libera (non giocare a pallone che sudi, non ti toccare che diventi cieco, non guardare quelle signore sul ciglio della strada che prendi le malattie) e compie gli studi superiori in un liceo classico della provincia di Napoli. Frequenta l'Università di Napoli, si laurea e entra nella pubblica amministrazione lavorando all’INPS. Ha pubblicato una raccolta di racconti noir dal titolo I fetenti. Nel 2006 è uscito il suo primo romanzo dal titolo La tana del salmone per l'editore Azimut. È in uscita il suo nuovo romanzo.





GIORGIO ANASTASIA

Di anni 37, vive a Napoli. Laureato in Sociologia, lavora nell’information technology come analista programmatore. Appassionato di letteratura, si nutre fin da ragazzo di poesia. Ha partecipato con entusiasmo ai vari risvegli culturali della sua città.





EDOARDO DE TOMMASI

Nato fiacco nei pressi di mezzanotte in quel di Franza trentuno anni fa, per successivi spostamenti migra sempre più a sud: Ginevra - Milano - Caserta - Napoli - Salerno, per poi risalire nuovamente a Caserta. Vive nella speranza di conoscere un giorno gli autori dei testi dei suoi sogni. Fedele ai dettami di Giorgio Manganelli (si legga «Vuoi diventare scrittore? Fai Geologia!» in Il rumore sottile della prosa, Adelphi), finiti gli studi classici, si è nutrito di metafore, allitterazioni e iperboli a Fisica. Poi, seguendo la sua infatuazione adolescenziale per William S. Burroughs, ha fuso l’alto e il basso, il classico e il contemporaneo in un cut-up sublime e senza fine che è la sua vita.





MARTINO GIUSTI

Poeta per caso, illuminato dalla sua Musa personale Monica, ama girovagare per l’Italia dell’arte e della gastronomia (sublime arte anch’essa) visitando musei e chiese, paesi e città d’arte.





FRANCESCO IANNONE

24 anni residente a Fisciano (SA). Frequenta l’Università di Salerno e studia Scienze dei beni culturali. Prossimo alla laurea con una tesi su Alfonso Gatto. Sempre per l’università è nella redazione del programma webradio DABAZ (da Bellavista a Zivago), trasmissione giusto un centesimo seria di poesie lette, tradotte e recitate.





ANTONIO MAGGIO

Antonio Maggio, nato a Napoli il 9.6.1976, da sempre amante e studioso di poesia, si è laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Napoli Federico II con una tesi in Filologia Dantesca. Ha partecipato a diversi premi letterari sia per la poesia sia per la prosa. Si segnalano: Premio nazionale Danilo Masini nella città di Montevarchi, il Premio Megaris a Napoli, il Premio Roberta Capasso (vincitore 1° premio ex aequo 2008 per i poeti under 35), il Premio nazionale Città di Licenza.





ARTURO MONTIERI

Arturo Montieri nasce ad Aversa (CE) il 12.12.1975. Attualmente vive a Roma. La prima raccolta di poesie esce nel 1998 con il titolo L'Incompleto (ed. Libroitaliano). Altre sue poesie compaiono in diverse raccolte.





ANTONELLO RAMELLI

Nato a Casagiove (CE) il 12.2.1975, è un modesto impiegato con una grande passione per la scrittura in vernacolo.





GIUSEPPE SPINILLO

Nato ad Anzio (Roma) il 6 gennaio 1961. Laureato in Sociologia, impiegato nelle Dogane. Pubblica Solo il battito forte del cuore nel 2000, I tempi del bradipo nel 2008. In corso di pubblicazione: La natura organica del dissenso. Vive a Roma ed organizza eventi culturali con l’associazione “Ingresso gratuito” presso associazioni, circoli, librerie e biblioteche.





FERDINANDO TACCOGNA

Vive e lavora a Caserta. È risultato vincitore, nell'edizione 2003, del Premio Internazionale di poesia “E il naufragar m'è dolce in questa radio”, bandito dall'Accademia Internazionale di Belle Arti Rufa di Roma, meritando la pubblicazione in un'antologia edita dalle edizioni Il Filo di Roma. Ha pubblicato tre libri di poesie con la casa editrice Lulu.





Citiamo infine l'organizzatrice.

ANNA RUOTOLO

Anna Ruotolo è nata il 23 ottobre 1985 a Maddaloni, in provincia di Caserta. Si è diplomata al liceo classico e frequenta la facoltà di Giurisprudenza. Ha vinto il premio speciale del presidente al Concorso internazionale giovanile “Ut pictura poesis” 2007-2008. Finalista al Concorso nazionale di poesia “Il Fiore” 2008, è inserita nell’antologia del premio omonimo con la poesia La luna è diversa. Si è classificata al primo posto nella sezione under 25 del Premio Turoldo 2010. Suoi testi sono apparsi sulla rivista internazionale «Poesia» (ed. Crocetti) nel numero di luglio-agosto 2009, ne «Il Foglio Volante - La flugfolio» (ed. Eva) e «Il Foglio Clandestino». Una traduzione da Secondi luce è pubblicata nel num. 4 della rivista spagnola online «Poe +». Alcuni inediti sono pubblicati nella rivista internazionale «Italian Poetry Review», anno 2009, num. 4 (Columbia University, Sef ed.). Secondi luce, ed. LietoColle, 2009 (Premio “Silvia Raimondo”), è la sua opera prima.



* La mostra durerà una settimana, per chiudersi il 22 aprile. Orari di apertura, vernissage a parte: 10.00-13.00, 15.00-19.00; sempre a ingresso libero. Titolo: A di A. A di Arte, A di Architettura. «Da un lato gli architetti, necessariamente costretti a inclinare la loro propedeutica creatività a ragioni tecnicistiche, dall'altro gli artisti, creativi stricto sensu, scevri nello loro elaborazioni progettuali da vincoli specialistici di ogni genere. E dunque, in mostra le opere di architetti e designers (Dario Madonna, Ludovico Nappa, Francesco Nappa, Antonella Petrillo, Fabrizio Silvestri) e di artisti (Raffaele Bova, Giuseppe Di Meo, Vincenzo Iodice, Luca Lubello, Angelo Maisto, Charlotte Sørensen), tutti legati al territorio casertano, per ragioni anagrafiche o di ricerca». Curatèla: Caterina Belardo, Luigi Rondinella, Silvia Tartaglione (fondatori del progetto Spazio 81) e Lucia Ferrara (storica dell'arte). Grafica: Luigi Ferrandino.

** Il bando del poetry slam richiede a ogni poeta d'autodefinirsi con tre aggettivi.

*** Tra molta johannsebastianbachérie e pochissimo jazz, passando per le due scuole di Vienna, con un cuore di lisztosismo.

2 aprile 2010

Nuova mostra dell'Agnolo a Parigi

Felicemente segnaliamo che dall'8 aprile all'8 maggio 2010 si terrà a Parigi, presso lo spazio espositivo Voskel (tra il n. 5 di rue Jean-Pierre Timbaud e il n. 141 di rue Amelot), una nuova mostra di Angelo Maisto (talora detto l'Àgnolo), punta avanzata delle belle arti di Terra di Lavoro, per il quale tifa da sempre l'Accademia Palasciania tutta, della quale è tra i più alti Soci Ornamentali. (Cliccare qui per vedere le foto della Balia e del Pipacottero, accompagnate dal commento critico di Marco Palasciano.)

Grande concorso di lamenti funebri

Riportiamo da Fèisbuc l'annuncio del Concorso di Poesia «Lamento per Pio Meo Di Cesare (1942-2010)», con scadenza il 29 aprile 2010 [AGGIORNAMENTO: la data è stata procrastinata al 30 settembre 2010]:

Care amiche ed amici delle Muse,
il group La Superbia punita ha organizzato, per questo mese, un bellissimo Concorso di Poesia (al quale tutti possono partecipare; è gratis) per commemorare il mio compianto amico Pio Meo Di Cesare, poeta, 1942-2010.

Per il Regolamento del Concorso – i cui premi sono gentilmente offerti dall'Accademia Palasciania – e la straziante storia del troppo breve rapporto d'amicizia tra me e il signor Di Cesare, andate a pag. [...].

Grazie per la cortese attenzione, e ancor più grazie se inviterete tutti i vostri amici.
:) :( Vostro ilare & triste


Nicola Legatore

Ma riportiamo, di séguito, anche il post – sempre del nostro caro Nicola Legatore – con cui principia il thread in rif. al quale suddiceva «andate», databile alle 6.00 circa di oggi, 2 aprile 2010.



Care amiche ed amici delle Muse,
molti di voi già sanno chi sia Pio Meo Di Cesare, gentilissimo poeta delle Puglie, che 30 ore fa è mancato improvvisamente all’affetto dei suoi cani. Aveva 68 anni (amava scherzare «Sessantottenne, mai Sessantottino!», dal suo ultimo compleanno) ma era, di spirito e di corpo, piú vigoroso di tanti quarantenni che conosco.

Lo avevo conosciuto appena l’estate scorsa a Vieste, nel foggiano, dove mi trovavo in vacanza con la mia ficanzata (ora ex) e dove in séguito sono tornato in solitaria un paio di volte, per il resto vivendo con lui un’amicizia di penna, nel vero senso della parola: il signor Di Cesare non ha mai posseduto un p.c. e amava vergare, con la sua grafia delicata e solenne, lettere vere, su frusciante carta.

Quell’uomo forse un po’ burbero – in cui confluivano l’elaborata cultura «di corte fridericiana» della grande feudalità meridionale, col suo risvolto un po’ autoritario e blasé (almeno nelle faccende letterarie), e quella, semplice, delle chiese di campagna – per il suo candore e per il suo nerbo seppe conquistare il mio cuore e, siccome il mercurio in un’ampolla, dal cuore mi salí fino al cervello: tant’è che devo in buona parte alla sua frequentazione epistolare e telefonica – a esempio – la mia recente presa di posizione riguardo alla questione Fede/Ragione, per me da sempre spinosa, ma in cui finalmente da tra le spine ho veduto sbocciare una rosa.

E finora pareva che la Pasqua 2010 sarebbe per me stata la “piú” buona Pasqua, io tornando a rivolgermi verso Ciò da cui mi ero distolto da bambino, io bambino tradito dalla morte dei miei nonni (tutti e 4 perduti nel giro di un solo annus horribilis: il 1982).

La morte ora del signor Di Cesare, quasi mio Quinto Nonno, rievoca passati incubi neri; e non so piú se infine avrò lo stomaco di accostarmi alla bianca particola eucaristica (dopo quasi trent’anni!) la Domenica di Pasqua, ormai dopodomani... imminenza che mi ricolma in parte di gioia, in parte d’ansia... e tornare in via definitiva in seno alla mia religione di nascita: un passo al quale sono andato preparandomi nel corso degli ultimi mesi, intravvedendo in esso per me, finalmente, una speranza di rinascita spirituale (tra l’altro mentendo spudoratamente al Maestro P., che mi scuserà, il quale va – al contrario – preparandosi allo sbattezzo appresso all’U.A.A.R. e mi consigliava caldamente, o meglio freddamente, di seguirlo... almeno finché io non ho trovato il coraggio di svelargli le mie nuove tendenze).

Intanto, le assurde circostanze del decesso del signor Di Cesare – già dolorosamente spiegate a pag. [...] – sono tali che, per ovvi motivi, mi sento necessitato a utilizzare il presente gruppo La Superbia punita (e stavolta i fratelli Superbi siamo noi, puniti da coscienza che rimorde) come strumento restitutivo dei dovuti onori al mio sfortunato amico; il che tornerà a tutto onore anche nostro.



REGOLAMENTO
DEL PREMIO DI POESIA
LAMENTO
PER PIO MEO DI CESARE
(1942-2010)


Dunque [...] scriveremo, scriverete, degli epicedi cioè lamenti funebri – o anche delle consolationes (per la differenza vedi il lemma «Epicedio» in Wikipedia) – appositamente composti in onore di Pio Meo Di Cesare.

Tutti possono partecipare. Ed è, naturalmente, gratis.

Sentitevi liberi nella scelta del linguaggio, dello stile, della forma o non-forma metrica e della lunghezza del testo, nonché nell’utilizzo eventuale di acrostici, anagrammi e altri ludi, ecc. ecc.!

Ciascun partecipante può inserire anche piú di un solo testo, finanche cento e piú (purché tutti farina del suo sacco), a distanza di giorni o d’un minuto; non poniamo alcun limite alla creatività.

Il 29 aprile 2010 [AGGIORNAMENTO: la data è stata procrastinata al 30 settembre] saranno decretate le poesie migliori tra quelle pervenute, a insindacabile giudizio della Giuria, «di cui suo loco dicerò l’ordigno» (Inf. XVIII 6). Anche i Giurati potranno intanto porgere [...] il loro omaggio lirico al defunto, ovviamente fuori concorso.

Coincidenza ha voluto che Pio Meo Di Cesare venisse al mondo il Giovedí Grasso del 1942, e lo lasciasse il Giovedí Santo del 2010. Ecco perché si è scelto come termine del presente Concorso non il giorno 30, ma il 29, che è l’ultimo giovedí d’aprile.

Sua madre Lucia ebbe le doglie – si divertiva egli a rammentare – a una festa in maschera, nel tardo pomeriggio di quell’11 febbraio 1942; «ed ecco perché», diceva, «sono divenuto poeta», riferendosi al verso dell’amato Ungaretti «Poeti, poeti, ci siamo messi tutte le maschere» (da Monologhetto, in Un grido e paesaggi).

I premi consisteranno in opere d’arte raffiguranti maschere, per l’appunto, comiche e tragiche; nonché in attestati di merito e nella pubblicazione a cura dell’Accademia Palasciania. Il cui presidente – il pur sempre a me caro Palasciano – si sente in debito sia nei confronti del signor Di Cesare, che lo ha citato con particolare calore nella sua ultima lettera, sia di me, in quanto amico del poeta morto; perciò si accollerà l’ònere detto.


E detto questo, amici, taglio corto
e me ne vado – triste e lieto – a letto.

Un sonetto allegato a un cellulare

MARCO PALASCIANO

SONETTO
IN ACCOMPAGNO
DEL REGALO
PER IL XXIII COMPLEANNO
DI ANTONIO F.




O Antonio, nel cammin di nostra vita
sei a quel punto che media tra il finire
del crescere e l’inizio del morire,*
la dolce età che ai più alti agoni invita.

Il Vulpiani, la Bestia preferita
dal Demonio p’ ’e mbruoglie suoje cchiù nnire,
stavolta ebbe Dio e gli angeli a servire;
così raccolse tra le adunche dita

i denari di tutti, e non ne trasse
alimento ai piaceri suoi corrotti,
ma un oggetto vibrante da appoggiarti

all’orecchio o dovunque ti aggradasse,
onde sostituir quel che prestotti
per du’ anni il Palascian dalle mill’arti.


* A 21 anni l'organismo completa il suo sviluppo; a 25 principiano i processi d'invecchiamento.