27 agosto 2020

Per i duecentocinquant’anni di Hegel

HEGEL NELLE LEZIONI-SPETTACOLO
DELL’ACCADEMIA PALASCIANIA

Oggi, 27 agosto 2020, è il 250° compleanno di colui che Arthur Schopenhauer chiama «il gran ciarlatano»: Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per la maggior parte dei suoi coevi il piú grande filosofo dell’epoca (dalla morte di Kant, 1804, alla sua, 1831). Assembliamo in questo post, per l’occasione, tutti gli aneddoti su Hegel dal festival-laboratorio del 2015 Le 77 meraviglie dell’Ottocento palascianiano.

Nel 1802 Hegel ha trentun anni allorché muore di scarlattina una certa signora Susette, moglie d’un banchiere; e il di lei amante, il poeta Friedrich Hölderlin, comincia a perdere il lume della ragione. Qualche tempo dopo, nel 1807, il filosofo Friedrich Schelling, preoccupato per le condizioni di salute dell’amico, prega il collega Hegel di ospitare per un po’ il povero Hölderlin a casa sua. Hegel rifiuta. Hölderlin verrà infine ricoverato a Tubinga nella clinica psichiatrica del professor Autenrieth, al cui nome è legata la cosiddetta museruola di Autenrieth, destinata a impedire le urla dei pazienti.

Nel 1818 Hegel inizia a insegnare all’Università di Berlino, da cui eserciterà la sua egemonia sulla cultura tedesca. Due anni dopo, Schopenhauer viene assunto come libero docente nella stessa Università; e, con assurda precisione e audacia, fissa apposta gli orari delle sue lezioni in concomitanza con le lezioni di Hegel, talché tutti vanno da Hegel e nessuno da Schopenhauer, che però è contento cosí.

Meglio Hegel o Schopenhauer? Dirà nel 2015 un mio amico avvocato: «Schopenhauer non ha mai tradito sé stesso svendendo il culo alla causa dell’Impero [come fece invece Hegel]. […] Schopenhauer […] ha rivoltato come un calzino puzzolente una tradizione durata venti secoli, e risulta oggi come non mai indigesto ad una società dopata fino allo spasmo dell’autoestinzione dall’induzione pianificata al competere e al volere a tutti i costi».

Torniamo appunto al competitivo, volenteroso Hegel. Che nel 1825, per inciso, impone al figlio illegittimo Ludwig – il quale gli ha rubato del denaro – di non portare piú il suo cognome; talché Ludwig assume il cognome della madre, Fischer, e lascia la Germania per l’Olanda; arruolatosi nell’esercito olandese, partirà per l’Indonesia.

Nel 1829, Hegel strega Feuerbach, un altro Ludwig, che non studia ancora filosofia a Berlino bensí teologia a Heidelberg ma, narrerà, «Bastò che per un semestre seguissi le sue lezioni» – quelle di Hegel – «e la mia testa e il mio cuore furono rimessi sulla loro via; io seppi ciò che dovevo e volevo: non teologia, ma filosofia! Non vaneggiare e fantasticare, ma imparare! Non credere, ma pensare!».

L’anno dopo, due rivoluzioni – la francese di luglio e la belga d’agosto – destano una certa preoccupazione nei governi della Confederazione germanica. Ed Hegel cosa fa? (1) dalla sua cattedra all’Università di Berlino, condanna duramente le suddette rivoluzioni? (2) o le esalta, lanciando urla di giubilo innanzi ai suoi studenti e sobillandoli a rivoltarsi anch’essi? Indovinate.

Proprio allora, Feuerbach – che all’epoca insegna filosofia nella cittadina bavarese di Erlangen – si stacca dal pensiero di Hegel. E pubblica, anonimi, i Pensieri sulla morte e l’immortalità. Il libro è visto dal governo della Baviera come un pericoloso attentato all’ordine e all’autorità, e viene sequestrato. Non basta. Si indaga; si scopre che l’autore è Feuerbach; e questi è costretto a dimettersi dal suo impiego all’Università.

Nel 1831, a Giakarta, Ludwig Fischer soccombe alla malaria; ma il padre non saprà mai della morte del figlio, che anticipa la sua di pochi mesi. Ed eccolo morire, Hegel, lí a Berlino, con funerali ancora piú sfarzosi di quelli di Beethoven a Vienna, tra trombe e tromboni trombeggianti per quel gran trombone d’un filosofone, tuba mirum spargens sonum per sepulchra regïonum. E Schelling si frega le mani: è lui, ora, il filosofo piú autorevole al mondo. Lo sarà fino al 1854, quando pure lui schiatterà.

Nel 1835 si apre la polemica tra hegeliani di destra e di sinistra. A scatenare ciò è la pubblicazione de La vita di Gesú di David Strauss, che definisce il Vangelo mitologia. Apriti cielo. Ha utilizzato, per far questo, la filosofia di Hegel. Ora, la destra hegeliana interpreta la filosofia di Hegel come perfettamente compatibile con i dogmi del cistianesimo, mentre la sinistra hegeliana dice che non è compatibile manco per il Kaiser. Da cui il caos.

Nel 1839 esce in Germania un nuovo libro di Feuerbach: Per la critica della filosofia hegeliana. Sebbene Feuerbach stesso sia un erede di Hegel, dice qui che non è possibile considerare come assoluto, definitivo, un singolo sistema di pensiero, anche riconoscendo la sua logica, universalità e ricchezza; se questo avvenisse, significherebbe arrestare il tempo, e portare gli uomini a rinunciare alla libera ricerca. Hegel diceva invece che, una volta trovato il sistema perfetto, morta lí. E indovinate secondo Hegel chi aveva trovato il sistema perfetto: Hegel!

Due anni dopo, esce l’opera principale di Feuerbach: L’essenza del cristianesimo. Il libro avrà un clamoroso successo e farà di Feuerbach, per alcuni anni, il leader della sinistra hegeliana, cioè la corrente atea. Nello stesso anno 1841, a Bonn, in Renania, due ragazzacci – Bruno Bauer (trentaduenne professore di teologia all’Università di Bonn) e il suo amico Karl (ventitreenne laureato in filosofia a Jena) – trascorrono l’estate ubriacandosi di continuo, cavalcando un asino e andando a sghignazzare in chiesa. Il colmo però lo si tocca allorché Bauer scrive il libello La tromba del Giudizio universale contro Hegel, ateo e Anticristo; per questo, egli verrà espulso dall’Università. E Karl vedrà sfumare l’ultima sua occasione di iniziare una carriera accademica; ripiegherà, perciò, sulla politica; con le conseguenze che tutti sappiamo, giacché il suo cognome è Marx.

Lo stesso anno, intanto, il danese Søren Kierkegaard – tutt’altro che un allegrone – si laurea e molla la fidanzata, per trasferirsi da Copenaghen a Berlino e seguire le lezioni di Schelling. Schelling, insieme coi defunti Hegel e Fichte, costituisce una trinità, quella dei tre grandi filosofi idealisti. (Trinità che un certo Friedrich Dorguth – ammiratore del loro opposto, e cioè di Schopenhauer – chiamava «la congrega dei cialtroni».) A seguir le sue lezioni ecco pure, fra gli altri, oltre Kierkegaard, quel comunistone di Friedrich Engels e quell’anarchicone del russo Mikhail Bakunin. E tutti e tre le trovano piuttosto deludenti. Kierkegaard le descriverà come «un insopportabile nonsenso».

Deluso da Schelling, per vendetta trasversale il principe dei filosofi danesi se la prende con Hegel: in Aut-Aut, del 1843, lo accusa di avere disumanizzato la vita col negare il libero arbitrio, avendo distrutto l’aut-aut, base della vecchia logica aristotelica, che Hegel aveva sostituita con la sua logica dialettica. Per esempio si piglia l’essere, poi la sua antitesi, il non essere, e si opera una sintesi dei due: ne esce il divenire. Analogamente si troverà ogni volta un qualcosa che rappresenti la soluzione del conflitto fra due cose che siano l’una la negazione dell’altra. Il problema è che questa conciliazione è meccanica, automatica: l’individuo non ha scelta, può solo sottomettersi. Kierkegaard crede invece che Dio lasci l’uomo libero di scegliere in modo molto piú fantasioso, e in Aut-aut descrive in proposito i tre stadi del cammin di nostra vita: estetico (tipo Don Giovanni), etico (tipo borghese con famiglia a carico), religioso (tipo hippy strafattone).

Nel 1847 esce un saggio di Marx intitolato Miseria della filosofia, in cui dichiara che il suo socialismo è piú scientifico di quello di Proudhon, che non capisce niente di economia ed è convinto che si potrà giungere al socialismo per via pacifica, attraverso progressive riforme della società; invece Marx – che ha preso da Hegel la fissazione dogmatica per la storia che deve compiersi secondo un fatale sviluppo matematico – vede nel conflitto tra borghesia e proletariato il teatro del compimento finale della storia umana, che sarà segnato da una violenta rivoluzione.

Nel 1854 Fëdor Dostoevskij, ch’era ai lavori forzati in Siberia, ottiene la libertà per buona condotta, con la possibilità di scontare il resto della pena servendo nell’esercito russo nella città di Semipalatinsk, vicino al confine con la Cina. In questo periodo gli saranno di grande supporto morale i libri inviatigli clandestinamente dal fratello Michail, tra cui forse anche Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel; e se è vero, sarà scoppiato a piangere nel leggerne quel brano in cui, parlando dell’Asia, Hegel dice di non essere interessato alla Siberia «in nessun modo, perché la zona nordica giace fuori dalla storia». Per Hegel difatti la storia è espressione del divenire della Ragione, dell’Assoluto; divenire che però lascia fuori quegli àmbiti dell’esistere non razionalizzabili. Cosí è per la Siberia, ma anche per il continente africano, «il continente bambino». Luoghi che agli occhi del filosofo non sono comprensibili con il lume della ragione, e dunque vanno ignorati.

Nel 1858 a Torino, sulla “Rivista Contemporanea”, esce un articolone di Francesco De Sanctis intitolato Schopenhauer e Leopardi. Il passo piú simpatico è il seguente: «Volete istupidire un giovane, renderlo per sempre inetto a pensare? Mettetegli in mano un libro di Hegel».

Nel 1873 a Napoli Bakunin scrive la sua unica opera completa, Stato e anarchia, dove dice che il potere non deve essere delegato a nessuno perché chi è investito di un’autorità sarà, secondo una legge sociale immutabile, uno sfruttatore della società. Già che c’è, critica anche Marx e il suo ideale di dittatura del proletariato. Hegel già era odioso, ma Marx è la propaggine piú odiosa di Hegel; e insomma, dice Bakunin, «Chi parte dal pensiero astratto non potrà mai giungere alla vita». Marx da Londra gli risponde che è un asino che non capisce una mazza di economia.

Aggiungiamo, traendolo dal festival-laboratorio del 2017-2018 Dal Paleolitico a Palasciania, che nel 1940 Karl Popper confuterà come pseudoscientifico tanto il pensiero di Hegel quanto quello di Marx. (Hegeliani e marxisti ci perdonino: noi tifiamo per Schopenhauer e Bakunin!) E concludiamo col citare il festival-laboratorio del 2018-2019, Ortelius Room:

«Infine, di tutti i nostri tentativi di comprendere il mondo, di schematizzarlo, nessuno potrà mai essere quello perfetto, checché sperasse Hegel. Quell’illuso!»

20 agosto 2020

Aggiornamento sul Progetto Schönberg

L'Accademia Palasciania è lieta di informarvi che la Giunta ha deliberato in favore dell'intitolazione di una piazza di Capua a Nikolaus von Schönberg (e precisamente, come da noi proposto, il cosiddetto “parchetto” di rione Eucalyptus). Non resta che attendere il nulla osta della Prefettura di Caserta.

Intanto, sui ventisei enti contattati dall’Accademia, dodici sono quelli che finora hanno aderito*, almeno nominalmente, all'appello per organizzare le celebrazioni del 12 settembre. Di sicuro in programma per ora vi sono solo una lezione-spettacolo dell’Accademia Palasciania e la partecipazione del Gruppo Volontari del Soccorso “Ferdinando Palasciano” della Pro Loco nelle modalità a esso consuete.

Un primo incontro coordinativo dal vivo fra tutti gli enti disponibili si terrà lunedí 31 agosto nel Chiostro dell’Annunziata, presso il bar SetteSerpi (ovviamente all’esterno e in rigorosa osservanza delle norme anticontagio), per trattare sia del Cinquecentenario schönberghiano (nella parte II, dalle ore 19.30) sia, su proposta di Piazze del Sapere, di altre iniziative culturali d’interesse comune (parte I, ore 18.30).

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* Aggiornamento al 12 settembre: in tale data, come si vede dalla locandina, gli enti aderenti son saliti a ventotto.

19 agosto 2020

La biografia di Nikolaus von Schönberg

(Vedi anche, in YouTube, la lezione-spettacolo Capua città “copernicana”. L’Arcivescovo Schönberg e la nascita della scienza moderna.)

Nikolaus von Schönberg – nome talvolta italianizzato in Niccolò Schomberg – nacque l’11 agosto 1472 in Sassonia, nei pressi di Meissen (città detta «la culla della Sassonia»), da una nobile famiglia che aveva già nel suo albero genealogico diversi vescovi di Meissen.

(La località in cui vissero gli Schönberg sarebbe poi divenuta, prendendo nome da essi, il villaggio di Rothschönberg, nel 2020 sotto i trecento abitanti.)

Il giovane Nikolaus fu canonico nella cattedrale di Naumburg (attuale Saale), al pari dei suoi fratelli Hans e Dietrich; e venne a studiare in Italia, a Pisa, qui divenendo dottore in Giurisprudenza.

Ispirato – ventitreenne – dai discorsi tenuti da fra’ Girolamo Savonarola a Pisa nel 1495, nel 1498 divenne frate domenicano, assistendo intanto con triste imbarazzo alla fine del suo mèntore: lo stesso anno, difatti, Savonarola veniva bruciato sul rogo, per la gioia di Papa Alessandro VI (il cui figlio Cesare Borgia, per inciso, tre anni dopo avrebbe compiuto il sacco di Capua).

A Firenze, fra’ Nikolaus divenne anche dottore in Teologia; né gli bastò. L’amore per il sapere lo spinse a integrare i suoi studi con la matematica, l’astronomia, la medicina, la geografia.

Parlava inoltre diverse lingue; e questo – insieme con l’eccellente carattere, improntato a un’irenica apertura mentale tipica del miglior Rinascimento – lo agevolò nei suoi viaggi in giro per il mondo al servizio dell’Ordine Domenicano: nominato suo procuratore generale, fu nunzio in Spagna e in Ungheria; fu anche in missione nell’Impero Ottomano, fra la Turchia e Gerusalemme; per scopi scientifici soggiornò a Oxford, Salamanca, Parigi, Bologna, Napoli; nel 1506, trentaquattrenne, divenne priore del Convento di San Marco a Firenze, carica già ricoperta dal Savonarola; ma presto si spostò a Bruges, in Belgio (non trascurando di far tappa a Sponheim, in Renania, per incontrare il dottissimo Abate Tritemio, umanista e scienziato autore della celebre Steganogràphia), stabilendosi quindi, nel 1508, a Roma.

Qui fu al servizio di Papa Giulio II – gran committente di Raffaello e Michelangelo – nel contempo insegnando, dal 1510, all’Università della Sapienza. I discorsi ivi da lui tenuti trovarono pubblicazione nel 1512; anno in cui inoltre ebbe inizio il Quinto Concilio Lateranense, che si sarebbe concluso nel 1517 e in cui Schönberg svolse le funzioni di procuratore per conto del duca Giorgio di Sassonia.

Frattanto, nel 1513, saliva al soglio pontificio il figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni de’ Medici, assumendo il nome di Leone X. Questi, che come il Papa precedente e i successivi ebbe grande stima tanto dell’enciclopedica cultura di Schönberg quanto della sua intelligenza diplomatica, lo inviò nuovamente in giro per l'Europa, come legato pontificio, al fine di concertare una crociata contro i turchi ottomani (infine mai attuàtasi), ma anche per altre missioni; cosicché fu ora a Innsbruck, da Massimiliano I, Imperatore del Sacro Romano Impero; ora alle corti di Ungheria, di Polonia, di Moscòvia; ora dal Gran Maestro dei Cavalieri Teutònici, Alberto di Brandeburgo; ecc.

In riconoscimento dei suoi molti meriti, il 12 settembre 1520 Leone X lo nominò Arcivescovo di Capua. Schönberg aveva allora quarantotto anni. Tre mesi prima, per inciso, lo stesso Papa aveva emesso la famosa bolla con cui si condannava buona parte delle tesi formulate nel 1517 da Martin Lutero; e tre mesi dopo, Lutero avrebbe preso quella bolla e l’avrebbe bruciata sulla pubblica piazza. Da qui sarebbe divampata la Riforma. La Controriforma avrebbe poi fra l’altro portato, nel secolo successivo, al piú grave conflitto tra Scienza e Fede; le quali però, al tempo dell’Arcivescovo Schönberg, ancora convivevano pacificamente, sebbene un certo astronomo polacco sentisse già nell’aria che la sua teoria non avrebbe avuto cammino facile.

Schönberg fu Arcivescovo per quindici anni e mezzo, alternando le sue cure pastorali per l’Arcidiocesi capuana con le ulteriori missioni in cui venne impegnato dai Papi del tempo; tra cui l’aver parte al governo fiorentino nel 1531 (era allora Papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici), apportando equilibrio nella turbolenta situazione ingeneratasi con il ribaltamento di Firenze – da che era Repubblica – in Ducato. Primo Duca il ventenne Alessandro de’ Medici. Dello Schönberg governatore parla con ammirazione Francesco Guicciardini:
«La mente sua circa le cose della giustitia è optima, et con gran satisfactione universale»; «la camera sua sta con lo uscio aperto dalla mactina alla sera, in modo che, a ogni hora, ciaschuno gli può parlare»…
Eccolo infine tornarsene a Capua; e ancorché «lui sia a proposito assai in quella città» (cioè Schönberg fosse perfetto Arcivescovo per Capua, e Capua città perfetta per un tale Arcivescovo), il Guicciardini non può non dolersi della sua partenza da Firenze, ben sapendo che il giovane Duca avrebbe avuto bisogno per alquanto piú tempo di «havere appresso a sé un tale instrumento» di temperanza.

Fu, tra l’altro, anche Abate commendatario dell’Abbazia di San Donato (a Sesto Calende, in Lombardia), allora in via d’esser ceduta all’Ospedale Maggiore di Milano. Le trattative in proposito furono concluse nel 1534 da un decreto di Papa Paolo III, includente l’assegnazione a Schönberg di una pensione annua di trecento scudi d’oro.

Fu poi lo stesso Paolo III, l’anno dopo, a elevarlo alla dignità di Cardinale; ed essendo egli Arcivescovo di Capua, da allora venne detto «il Cardinale Capuano».

A consegnare Schönberg alla storia – in ispecifico alla storia della scienza – sarà infine la lettera da lui inviata il 1° novembre 1536 all’astronomo polacco di cui sopra, Mikołaj Kopèrnik, piú noto agli italòfoni come Niccolò Copèrnico.

Copernico era restio alla pubblicazione della sua teoria eliocentrica, temendo le reazioni negative che avrebbe potuto suscitare nella Chiesa. Ma il Cardinale Capuano – venuto a conoscenza di quelle idee tramite un’opera minore di Copernico che, inedita, circolava in pochissime copie manoscritte tra amici (il De hypòthesibus mòtuum cœlèstium a se constitútis commentàriolus) – lo incoraggiò:
«[…] non solo sei versato in modo eccellente nelle scoperte degli antichi matematici, ma hai anche fondato un nuovo modello del mondo, in virtú del quale insegni che la Terra si muove e che il Sole […] occupa il centro del sistema […]. Dunque, uomo dottissimo, se non ti sono di fastidio, ti chiedo e ancora vivamente ti chiedo che questa tua scoperta venga comunicata agli studiosi».
Il 28 aprile 1536, all'età di sessantatré anni, stanco della vita attiva, Schönberg si dimise dal suo ufficio di Arcivescovo di Capua.

Di nuovo a Roma, fu assegnato infine alla Basilica Crescentiana di San Sisto, presso San Paolo fuori le mura; e là morí, il 7 settembre 1537, per essere sepolto nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Lo stesso luogo in cui, nel 1633, Galileo Galilei sarebbe stato costretto all’abiura delle idee copernicane; ma questa è un’altra storia. Una storia che vedrà tra i suoi protagonisti – mirabile casu! – un altro celebre Arcivescovo di Capua, la cui statua si può oggi ammirare nei pressi del portale del Seminario Campano: san Roberto Bellarmino.

Fu intanto pubblicato appena in tempo prima della morte di Copernico, nel 1543, il suo opus magnum, l’opera (con dedica a Papa Paolo III) che segna la nascita della scienza moderna: il De revolutiònibus òrbium cœlèstium. Nella sua prefazione Copernico aveva scritto:
«[…] il timore del disprezzo che avrei potuto subire per la novità e l’assurdità di questa mia teoria per poco non mi spinse ad abbandonare del tutto l’opera compiuta. Ma gli amici me ne distolsero, […] e fra questi primo fu Nikolaus von Schönberg, il Cardinale capuano, celebre in ogni campo del sapere».
E incastonate in quella stessa prefazione di Copernico si trovano le parole di Nikolaus von Schönberg, quella sua lettera meravigliosa di sette anni prima, grazie alla quale l’inizio della scienza moderna non è slittato a cent’anni dopo. 

Marco Palasciano

13 agosto 2020

Fra trenta giorni il cinquecentenario

Riportiamo di séguito il testo dell’appello oggi inviato dal nostro Presidente a venticinque anime gentili, delle quali omettiamo l’elenco, elenco che probabilmente sarà da aggiornare.

 
 FRA TRENTA GIORNI IL CINQUECENTENARIO
SCHÖNBERGHIANO A CAPUA:
APPELLO ALLE REALTÀ CULTURALI
ATTIVE SUL TERRITORIO

Capua, 13 agosto 2020

Anime gentili, come primo passo verso il 12 settembre mi rivolgo a Voi e, per il Vostro tramite, alle connesse associazioni culturali e simili, limitandomi per ora agli enti non statali che so attivi nel territorio di Capua:

[...]

Come forse già sapete, sabato 12 settembre 2020 sarà il 500° anniversario della nomina ad Arcivescovo di Capua di Nikolaus von Schönberg, la cui storica lettera convinse Copernico a pubblicare il De revolutionibus orbium cœlestium.

L’Accademia Palasciania ha presentato al Comune di Capua, il 10 marzo scorso, la richiesta di intitolare una piazza all’Arcivescovo Schönberg (il cosiddetto “parchetto” di rione Eucalyptus). Il buon Vicesindaco e altri si stanno occupando di far avanzare l’iter. Purtroppo, fra pandemia e tutto, si è partiti in ritardo; ora è agosto, il che non facilita le cose; insomma si prevede che non si farà in tempo per il 12 settembre ad avere sia la delibera cittadina d’intitolazione, sia il via libera della Prefettura di Caserta, sempreché nulla osti.

Tale ritardo in realtà è vantaggioso. L’intitolazione si potrà attuare piú avanti, cosicché si avrà il tempo sia di stampare la monografia d’occasione cui sto lavorando, sia di realizzare eventualmente un piccolo monumento: o quello in stile essenziale da me disegnato, o tutt’altro, se un vero e proprio artista vorrà dedicarcisi.

Ma, intanto, il 12 settembre si potrà/dovrà comunque celebrare il suddetto cinquecentenario. Ciò, come minimo, almeno con un evento, facile da prepararsi: l’Accademia Palasciania allestirà una lezione sui temi di Schönberg e Copernico, Capua e l’universo, il cammino della scienza e i voli dell’immaginazione; lezione che sarà tenuta dall’umile sottoscritto e che potrà aver luogo, salvo tempeste, all’aperto, per esempio nel Chiostro dell’Annunziata. Sia lí, sia in altri spazi cittadini, con la collaborazione del Comune e coinvolgendo magari anche Museo Campano, Scuole, Università ecc. si potrebbero tenere anche altri eventi a cura delle Vostre associazioni ecc. (se fossero molti, si articolerebbe la celebrazione in piú giornate). Magari anche una messa cantata al Duomo (non sono credente, ma ci starebbe bene). Inoltre si potrebbero allestire gli stand delle varie realtà culturali e commerciali, del Cira ecc.

Abbiamo trenta giorni di tempo, a partire da oggi, per coordinarci. Vi prego dunque di farmi sapere al piú presto se i Vostri enti d’appartenenza sono interessati a contribuire, in qual sia modo, al Progetto Schönberg.

Vi prego altresí di segnalarmi, eventualmente, altre associazioni e simili cui pure avrei dovuto indirizzare la presente, e che ho omesso d’inserire per mia ignoranza o dimenticanza, essendomi principalmente basato su un elenco di passate collaborazioni con l’Accademia.

Attendo fidente le Vostre risposte [...]. Grazie per la cortese attenzione e ossequi,

Marco Palasciano