23 febbraio 2010

Poeti in rissa in osteria virtuale

Riportiamo un bellissimo scambio di omaggi e di invettive più o meno poetiche, frullanti una macedonia di lingue e di dialetti ebbra di spasmi, intercorso sulla bacheca del gruppo feisbucchiero La Superbia punita ovvero Diciamo basta alla poesia mediocre fondato dal nostro colendissimo accademico Nicola Legatore da Pisa. Del signore che ha provocato la «cagnara» modifichiamo il nome in Pelusius, seguendo la lezione di Daniele Ventre. Partecipa anche Marco Palasciano, Presidente dell'Accademia Palasciania.



Raffaello Sorbi, Osteria a Fiesole (1889).


PELUSIUS
Bene-bene... infine gli eletti-censori-giudici... io che sono un poeta d'osteria me ne strafotto del vostro olimpo... preferisco la merda della vita comune all'asettico effluvio da pronto-soccorso che mi riempie le narici mentre "sento" le vostre auliche parolone!



LEGATORE
E simmetricamente io me ne strafotto della tua osteria, e del suo sano effluvio di letame. Se questo posto non ti piace, vattene! (Ma chi l'ha invitato?)



PALASCIANO
Embè? embè? a Llegató, e cche è? che fine nce hai fatto fà alle tóie bbone manère? addò stammo? daddovèro drento a n'ostarìa? e ddàmoce nu tono; simmo li Olimpionici, nùie, o no? e cche ccacchio d'Olimpo famo mò, si ce mettìmo ad attaccà cagnara co li furastieri gnuranti? arricòrdate da addò ne venimmo; dietro di noi c'è tutta una cordata, che da Omero arriva all'Oulipò; e ti pare che Kafka si sarebbe inkafkato così? che Rabelais, arrabbliandosi, si sarebbe rabbassato a tanto? risollèvati, o frato mio, e racquieta l'acque inturbinate e intorbidate del tuo spirito; torna, deh, torna sulla dritta via, e lascia altrui menarsi all'osteria.



LEGATORE
A Palascià, lassame fà: spigni de qua, tira de là, s'à da aggiustà 'sta storia qua! O che tte ttu ti credi ch'i' m' lass' vuttà 'a lutamm' ncuollo dar primo o dar seconno che passa pe dde qqua? E nno! Me spiace! Diciamo pane ar pane e vvino ar vino! Mò quanno questi vèneno cor venèno ner core, e se vonno sfogà
de quarche lloro frustrazzione amara,
io li manno a accattarse na chitara
ar paese da ndove so' vvenuti!
Se n'èschino de qqua, e ttanti saluti:
nun ce tórnino a rrompe li cojoni
cor dì che semo caca-paroloni!
E ddaje e ddaje, e shfutt' 'a mazzarella,
m' shcass' u cazz' e 'a vott' i' na petrella!
Poi nun v'allamentate si ve còce:
n'ata vòta 'a tenìue 'n cuorp', 'a voce!



PALASCIANO

Ma il bon ton,
ussignùr?
sù, fa' il buon,
Ligatùr!

(Fuori è ormai
di controllo;
qui son guai;
io lo mollo.)


LEGATORE

Quiètate, Palascià; me so' arripriso,
cu na durmuta e na sciacquata 'e viso.
Sulamente me resta stu vernacolo
ibrido, intriso 'e vino e avanspettacolo,
e forse restarrà pe qquarche iorno,
ad alitarme mmocca e ttorno torno.
Agge pacienza, primma o poi me passa;
ll'ànema mia nunn è, nce 'o ssai, vaiassa.

Chest'è la differenza tra 'o sapiente
e chi nun se ne fotte 'e sapè niente:
'o primmo sape pure 'e nun sapè,
ll'ato crede 'e sapè 'a vita ched è;
'o primmo può anche scendere dal monte
Parnaso al piano, e all'osteria di fronte;
l'altro può solo stare in osteria,
ché del monte salir non sa la via.



PALASCIANO

Applausi! Applausi! Applausi! Applausi! Applausi!
Legatore, che orgasmo che mi causi!



LEGATORE

Grazie! E a ffinì 'n bellezza, mano ar Chianti:
un giro de bbevute a ttutti quanti!



PELUSIUS

Lasciando questa stanza
brindo a comparanza
mi sono divertito
ritorno al mio partito
di quelli poveracci
che cantano mortacci
e se v'ho provocato
chiamate l'avvocato
ma quel che più mi piace:
io sono contumace.
Iu su de lu Salentu
e comu dicu pensu
e core tengu am' piettu
vu tornu lu rispettu
ca prima vja rrubbatu
iu fiaccu e malfamatu.
Però iu su sinceru...
me stonu cullu mieru!

BUONAVITA A TUTTI

Dimenticavo: mi son veramente divertito a scatenare la "cagnara"... anche perchè in che modo avrei mai potuto godere della verve di Nicola e Marco?... grande rispetto, dunque... e scusate la presunzione.


PALASCIANO

Viva lu mieru che face ballare!
Senza lu mieru no pozzu campà!
Viva el signur che avviò la cagnara,
senza la qual non cantàuimo qua!
Viva fratel Ligatùr brontolìn!
I tarallucci azzuppiamo nel vin!


LEGATORE

Viva! Ma tu nun me pòi far rimare
are con ara, diobòn, Palascià!
Viva! Pacienza! Fernuta è ogne gara,
viva la pace che l'è riturnà!
Viva el Salento e el signur salentin
che diè la stura ai mie' versi ed al vin!


VENTRE

Me l'avete fatto uscire dal cuore con tutto questo vespaio:
Ecce, ferox caupo Pelusius odit Olympum:
fervida contemptos suscitat ira deos.
«Vim Bavii, socii, patimur: servemus Olympum»
Iuppiter adloquitur Marcius, «arma viris!»
Carmina mutantur: cauponia laudat Olympus:
rident Volcani numina læta iocis.
Instabilis vario casu vapulatur Olympus:
tanta movet vates vana volubilitas!

Insomma, much ado for nothing...



* Nel contempo scrivendo al Presidente:


Sulla bacheca del poeta vano
ti ho risposto latino, Palasciano.
Quando ci hai tempo tornaci e controlla,
se un altro oste-poeta non ci trolla.

E il Presidente a lui:

Grazie, sebben non è che tanto serva:
hai fatto comme 'a nottola 'e Minerva.
Erano fatti ormai i conti con l'oste;
che non è vano, inver, né troll, né hoste.

L'uomo tra perversione e religione

Riportiamo, prendendolo da Facebook, un commento del nostro Presidente al recente caso delle due signore o signorine che hanno ucciso un cane, al quale l'una teneva ferma la testa mentre l'altra lo calpestava, a lungo, infierendo coi tacchi, lui guaendo ed esse ridacchiando. Non linkiamo al video girato da un loro complice.


Sembra un misto tra una scena sadomaso e un sacrificio rituale. Gli appassionati di questo tipo di video provano certo una soddisfazione di tipo sessuale a vedere delle snelle gambe di donna inguainate in nylon nero, piedi calzanti scarpe a lunghi tacchi, trattare il cane come uno slave, come forse a loro stessi piacerebbe essere trattati, anche se non fino alla morte (o forse sì, in qualche loro fantasia di autoannientamento). Inoltre, a ucciderlo le due "sacerdotesse" avranno provato all'incirca la stessa esaltazione che gli antichi provavano nell'immolare un capro e offrire il suo sangue a Dio, liberandosi così dei peccati loro e di tutto il villaggio, scaricati addosso a un animale perfettamente innocente. Questo è in pratica un vero sacrificio barbarico, che deve indignare ma che a contemplarsi in differita (dal vivo uno sarebbe intervenuto e avrebbe preso a mazzate le due pseudo baccanti, salvando il cucciolo) può anche dare un assurdo senso di soddisfazione fredda e triste, di «Tutto è compiuto», in chi eppure si sente con tutta la sua anima in empatia con la vittima: come davanti, forse, a una tragedia greca (dove però le uccisioni non venivano mostrate sulla scena). Peccato che la catarsi in questo caso non valga la pena, la pena di quel cane; difatti non avremmo mai commissionato un video del genere, e forse neanche immaginato. Infine si aspetterà meccanicamente che sia data una giusta pena alle due signore, ormai già identificate e denunciate, che da torturatrici dell'Inquisizione si trasformeranno in streghe da mettere al rogo. Non le odio più rabbiosamente, ma in calma mi repellono: mi sono, lo sento, considerevolmente aliene, nonostante il comune nucleo umano; non nego le somiglianze, e sono lieto delle differenze.

19 febbraio 2010

Decadenza dell'arte del sonetto

MARCO PALASCIANO

SONETTO GENETLIACO
PER L’AIMONE



18 febbraio 2010


Gentil Aimon, non vo’ piú far sonetti,
ché ciò mi sfrantumò gli zebedei;
ma come ricusare oggi potrei
farn’un per un dei m’ frati piú diletti?

Ond’ecco la mia penna e me costretti
a snaturare il corso che prendei,
del rifuggire gli antiquismi rei,
e a dar barocca veste ai nudi affetti.

Ma quel ch’avrei da dire, intero dissi
di già altra volta, senza nulla dire;
e i miei pensier, negli anni, restan fissi.

Sicché com’è non so ch’andrà a finire
tal sonetto; e mentr’esso a sonar stenta,
già sulla torta ogni candela è spenta.



17 febbraio 2010

Nella giornata di Giordano Bruno

Ricorre oggi il quattrocentodecimo anniversario del rogo di Giordano Bruno; ripubblichiamo per l'occasione un articolo di Marco Palasciano del 2002, scritto – ed edito, sul mensile locale «Block Notes» – in occasione della campagna dell'Accademia Palasciania pro l'intitolazione a Giordano Bruno di una piazza della città di Capua; piazza che naturalmente non gli si è ancora, né mai probabilmente gli sarà, intitolata; e intanto, il Martello degli Eretici (Roberto Bellarmino) ha una piazza, una statua, e una chiesa novissima a lui intitolata, oltre a essere santo patrono dei capuani.


COME METTERE CAPUA
IN MOTO BRUNIANO
*


Trentatré anni prima che Galilei – vecchio e un po’ tremante davanti ai cardinali dell’Inquisizione – scegliesse l’abiura piuttosto che la morte, Giordano Bruno scelse la morte piuttosto che l’abiura. Quella volta davanti all’inquisito furono gli inquisitori a tremare un po’, per come dovette guardarli mentre dichiarava la sua scelta, lui che, pur alto un metro e sessanta scarso, in senso morale era un gigante. Se in un primo tempo aveva deciso di abiurare, poi – quando un cardinale soprannominato il Martello degli Eretici (di lí a due anni arcivescovo di Capua) gli presentò, pronta da obliterare, la lista dei punti chiave della sua filosofia di cui fare ammenda – Bruno ci ripensò. Tanto fortemente amava la vita, quanto fortemente volle rinunciarle pur di non tradire sé stesso. Non avrebbe mai piú rivisto la natia Campania, che qualche anno prima, dalla Francia, aveva ricordato con struggimento e ricreato a tutto colore in un testo teatrale di scandalosa allegria, il Candelaio. Il Nolano sarebbe morto nella cupa Roma di Clemente VIII, circondato da gente che non lo capiva né amava, senza un parente o amico che andasse – com’era d’uso – a pagare il boia affinché strangolasse nascostamente il condannato prima di dargli fuoco.

Era quasi l’unico savio in un mondo di folli. L’Europa precipitava nelle guerre di religione; Bruno, che l’aveva percorsa tutta (piú volte scacciato da questa o quella comunità per il suo esser incapace di tacere sulla ottusità degli accademici), era stato anche protestante ma infine aveva concluso esser migliore il cattolicesimo, pur criticandone l’aver perduto il senso dell’infinito. La “superiorità” di Bruno stava nel suo eroico furore: quel ribollente desiderio di conoscenza di cui il poeta filosofo investe la totalità dell’universo, e che dall’osservato rimbalza sull’osservatore, facendolo simile all’Atteone del mito, trasformato da cacciatore in cervo e sbranato dai suoi stessi cani.

L’abiura di Galilei è giustificata, non essendo egli un filosofo ma uno scienziato, in un’epoca che vedeva la scienza sempre piú distanziarsi dalle speculazioni metafisiche (anche perché a mischiarsi con la teologia si finiva male). Ma Bruno era diverso: le basi su cui poggiava le sue convinzioni nascevano meno dal metodo scientifico che dall’intuito poetico. Per questo fu tanto piú rivoluzionario, rispetto a Galilei e allo stesso Copernico, nelle sue tesi cosmologiche, pur senza aver mai toccato un cannocchiale (né il suo campo speculativo si riduceva all’indagine del mondo fisico). Le sue idee erano la sua vita; anzi erano molto di piú. Per questo non abiurò alle idee, e rinunciò alla vita.

Avete piú paura voi a pronunciare la condanna, che io a udirla, furono tra le sue ultime parole; poi, gli venne stretta e trafitta la lingua nell’apposita morsa d’uno strumento simile a una museruola, per impedirgli di parlare alla folla, copiosa in Roma per il Giubileo; e fu condotto al rogo. Era il 17 febbraio del 1600. La morte di Bruno significò la morte del Rinascimento, della filosofia naturalista, sorretta dall’amore per il mondo e Dio visti come un unicum, filigranata di echi di magia, e che presto sarebbe stata soppiantata dall’asettico razionalismo di Cartesio, artefice della spaccatura tra scienza e spirito dalla quale sarebbero scaturiti i modi dell’odierna società ipertecnologica di massa – teatro di alienazioni sottilissime moltiplicate da mille specchi, da mille schermi.

Tornando a Bruno (e sarebbe davvero salúbre tornare a Bruno, oggi), il tempo ha fatto della sua figura il simbolo della libertà di pensiero, amato in tutto il mondo. Quanto a trasversalità, si è simpatizzato per Bruno tanto da sinistra quanto da destra: se a erigere la statua in Campo de’ Fiori fu nel 1889 il governo Crispi, nel 1929 fu Mussolini in persona a difenderla dalla demolizione pretesa da Pio XI – il quale, per “ripicca”, un anno dopo santificò il famoso Martello degli Eretici.

Inevitabili sono arrivate anche le strumentalizzazioni ideologiche e le banalizzazioni. Lo stesso articolo che state leggendo, probabilmente, è piú banalizzante che analitico. Si era pensato di intitolarlo Che c’entra Capua con Giordano Bruno?, e ci sarebbe in effetti da domandarselo; a guardarsi in giro, non si vede davvero molto eroico furore da queste parti. Cionondimeno, se Capua ritiene d’essere città fra le piú importanti della Campania per storia e per cultura, non dovrebbe “disdegnare” di intitolare una sua via o piazza al piú importante filosofo del Rinascimento, campanus sive capuanus. L’occasione immediata è data dalla costruzione della nuova piazza nel rione Eucalyptus, ed è per questo – per avere qui piazza Giordano Bruno – che, a partire dalla solita simbolica raccolta di firme, ci si sta muovendo. Come per la battaglia contro la TAV, non ce ne viene niente in tasca: tutto ciò che speriamo è che la cosa vi dia da pensare.


Luigi Credendino nei panni di Pulcinella in Gli arcivescovi di Capua Nicholas Schönberg e Roberto Bellarmino nel racconto di Pulcinella, il secondo quadro di Le strade e le storie di Capua. Dialogo didascalico in otto quadri dove i vivi parlano coi morti di Marco Palasciano, in prima rappresentazione a Capua il 10 settembre 2005 per la regia di Roberto Solofria; sullo sfondo la statua del cardinal Bellarmino (foto di Mario Nardiello).



* moto bruniano: gioco di parole tra Bruno e il moto browniano, relativo a particelle libere nell’aria.

14 febbraio 2010

Mostra a Parigi: Angelo Maisto

Felicemente segnaliamo che nei prossimi giorni si terrà a Parigi, presso lo spazio espositivo Rivoli 59, una mostra di opere scelte di Angelo Maisto, punta avanzata delle belle arti di Terra di Lavoro, per il quale tifa da sempre l'Accademia Palasciania tutta, della quale è tra i più alti Soci Ornamentali. (Cliccare qui per vedere le foto della Balia e del Pipacottero, accompagnate dal commento critico di Marco Palasciano.)

Lo zio, san Valentino e Legambiente


Al nostro Presidente, che come sapete è pronipote di Ferdinando Palasciano (1815-1891), un'anima gentile ha segnalato via sms:

Per San Valentino, Legambiente organizza passeggiata a casa dello zio Ferdinando... La gente del posto ancora ricorda il grande amore per la moglie Olga... Ma che è? Ti conservo il pezzo, sul «Corriere del Mezzogiorno» di ieri.

Ond'egli:

Grandioso! Non ci posso credere. E a Capua fanno venire Moccia a inaugurare il Ponte degli Innamorati... Pensa.*

Onde quell'anima:

Sì, vabbè, ma che gli indigeni ricòrdino mi pare na strunzata!

Difatti, improbabile appare l'idea d'una così tenace memoria storica collettiva degli abitanti di Capodimonte, nessuno dei quali ci risulta avere l'età minima a ciò necessaria, cioè 120 anni; più probabile è che si tratti di una giornalistica iperbole o metonimia.

PalascianoIn ogni caso, è ben lodevole l'inserimento della domus palasciania nel percorso organizzato da Legambiente; e più si parla del dottor Palasciano, di cui spesso si oblia il ruolo giocato nella nascita della Croce rossa internazionale, meglio è. Quanto al suo grande amore per la moglie, è testimoniato dalla stessa esistenza della torre che sormonta la domus: torre – come ricorda un articolo d'una nostra accademica su «Repubblica», un lustro fa – che il dottore fece «erigere affinché sua moglie, la contessa russa Olga de Wavilow, potesse mitigare l’ansia osservando con un binocolo il calesse con cui lui rincasava per i tornanti di Capodimonte, infestati dai banditi»**.



La Torre fatta erigere a Capodimonte dal dottor Palasciano. Da www.ilportaledelsud.org.

* Questo lo status d'oggi del Presidente in fèisbuc: «Marco Palasciano legge, meravigliato, che questa domenica la casa del prozio Ferdinando sarà meta di un pellegrinaggio di innamorati»; e in commentario ha aggiunto: «Questo a Napoli. Invece a Capua, patria del prozio (e mia), nelle stesse ore i festeggiamenti per San Valentino ruoteranno intorno a ben altra figura: Federico Moccia, chiamato a inaugurare un "Ponte degli Innamorati" da ricoprir di lucchetti. Sarà inoltre onorato con un aperitivo, in chiesa, e parlerà del suo nuovo film, nel palazzo municipale. E pensare che in quella stessa sala si trova un quadro che fu del mio prozio, con sull'orlo la frase di Terenzio "Cosí il popolo sciocco va appresso ai saltimbanchi"». Per la precisione, la frase è dal prologo dell'Hecyra, che recita: «Ita populus studio stupidus in funambulo animum occuparat».

** Rosa Viscardi, Palasciano, dottor avanguardia, «La Repubblica Napoli», 12 giugno 2005.

1 febbraio 2010

Giustamente pur se non giustomodo


Louis David, La morte di Socrate (1787).

«Stev magnann, e agg vist nu poc d' 'o film su sant'Agostino d'Ippona ghiut in onda stasera su Rai 1», ci narrava poc'anzi un nostro gentile accademico, «e m'è ghiut stuort u vuccon: nientemeno, sti gnurant 'e sceneggiator hann mis mmocc a Agostin sta fras!: "Ho visto un'edizione delle opere complete di Socrate, però costava molto". Cose 'e pazz! e chist foss nu film ncopp 'a storia d' 'a filosofia? ma facitm 'o piacer, ghiat a zappà!»*.

Certo, è notorio che nullo scritto Socrate lasciò; ma in verità, il fallo fu nell'orecchio del nostro sodale, che intese Socrate per Isocrate, e non nella penna negli autori del pur per altri versi discutibile film di propaganda chiesastica Sant'Agostino (dialoghi da telenovela, personaggi piatti come in un cartoon... insomma la solita pastura buona a che vi si pasca la star della filastrocca di poc'anzi). 


Isocrate.
D'altro canto ciò che meglio sappiamo, come si sa, è di non sapere; e forse né i licei, né Wikipedia, né noi siamo aggiornati, e qualche mese fa sono magari stati ritrovati sotto un sasso dell'areopago, integri, i rotoli dei finora ignoti trattati e trattatelli socratici tutti. Ce ne rallegreremmo assai; non solo perché sarebbe il più importante ritrovamento quantomeno degli ultimi sessantatré anni, ma anche perché preserverebbe lo sceneggiatore**, il regista***, gli attori**** e tutti gli artéfici della produzione e postproduzione di Sant'Agostino***** da ogni futuro sospetto di asineria collettiva, laddove un altro spettatore momentaneamente dimentico della storia dell'epidissi fosse in vena, come v'era il gentile accademico che ci fece la vernacolosa segnalazione, di sfoghi (giustamente pur se non giustomodo) contro la tivù generalista più o meno degenerata. Detta segnalazione lì per lì ci stordì col suo ghiotto fulgore, onde non pensammo ad altro che ad approfittarne immediatamente per gettare discredito sulla cinedrammaturgia filocattolica, drogandoci di odiante vis satyrica; è un vero peccato che si trattasse di Isocrate e non di Socrate, e che abbiamo dovuto frenarci; ma, frenati non ci fossimo, saremmo passati dalla parte degli asini: e come più faremmo a illuminare il mondo, con la reputazione macolata? Infine, errare humanum est, e il perdono è il più alto gesto umano: perciò perdoniamo senza esitare il sodale di dianzi, per averci ebbro esposti a un tale rischio. 

Quanto alla qualità media delle fiction generaliste, e più in generale della televisione per le masse, e più in generale del masscult (con la sua subdola codetta, il midcult), certo non c'è da meravigliarsi: banale è dir che la banalità ha sempre predominato sul mondo in tutti i campi, tempi e territori. Ma, a consolatio, pènsisi: la luce del genio non risalterebbe, se non fosse circondata dalle tenebre e penombre dell'altrui mediocrità intellettuale, artistica e spirituale. Grazie, gente.


* «Ero intento alla cena, e ho assistito a un frammento del film su sant'Agostino d'Ippona andato in onda stasera su Rai 1, talché m'è andato il boccone per traverso: nientemeno, quegli sceneggiatori ignoranti hanno fatto pronunciare ad Agostino la seguente frase!... Cose da pazzi! e questo sarebbe un film d'argomento storico-filosofico? ma fatemi il piacere, andate a zappare!».

** Francesco Arlanch (già sceneggiatore delle fiction San Pietro, Chiara e Francesco, Paolo VI, Giovanni Paolo II ecc.).

*** Christian Duguay (già regista, tra l'altro, di Screamers: Urla dallo spazio e Human Trafficking: Le schiave del sesso).

**** A pronunciare la battuta sulle opere di Isocrate è Alessandro Preziosi.

***** Una coproduzione internazionale Rai Fiction, Rai Trade, Lux Vide, Eos Entertainment e Grupa Filmowa Baltmedia.