Un nostro accademico curioso ha rivolto al colendissimo professor Daniele Ventre
questo nuovo quesito: «Ma secondo qualche teoria di cui tu sappia, i
miti antichi sarebbero nati da sogni? Tipo, uno ha un incubo su una
donna con serpenti al posto dei capelli, lo racconta agli amici, e ha
così origine il mito della Medusa?». Risposta:
No. Più che altro, Carl Gustav Jung afferma che nei miti si ipostatizza l'inconscio collettivo popolato di archetipi che ci visitano altresì in sogno.
Il problema è che in realtà il mito è il linguaggio scientifico*
di una civiltà orale che, non avendo appunto scrittura, codifica le sue
cognizioni astronomiche, giuridiche, politiche, mediche, le sue
pratiche agricole, la sua storia, e quant'altro, nei racconti
leggendari, accompagnando ogni gesto e ogni momento della
drammatizzazione delle memorie cultuali, e culturali in senso lato, con
un atto di ritualizzazione magica simpatetica, stante anche il fatto che
una civiltà di quel genere attribuisce una forza attiva intenzionale
trascendente latente a tutto ciò che ha presenza fisica e forza per
agire, dai pianeti alla lama dell'arma, passando per ogni singolo
arbusto, anfratto o onda del mare. In una simile civiltà i poeti sono
sacerdoti, taumaturghi, maghi, scienziati, re.
I sogni, ovviamente, col loro inquietante contenuto di archetipi, vengono proiettati su ogni elemento reale, ma non sono la matrice del mito, per nessuna teoria.
In pratica, il Sogno stesso è in tali culture una forza attiva (divina)
o ne è l'emissione diretta (dunque è protagonista del mito, non sua
matrice generativa).
* Vedi Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, ed. Adelphi.
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