Riportiamo, cavandola dal group di Facebook La Superbia punita, una serie di interventi – rimontati e introdotti dal nostro affezionato S.O. Nicola Legatore – dedicati all'analisi di quanto accaduto il 16 aprile 2010. Buon divertimento.
POETRY SLAM:
UNA PRATICA IRCOCÈRVEA
CHE ABBASSA LA POESIA
ALLE MISERIE DEL VOLGO
ANZICHÉ INNALZARE
IL VOLGO ALLA POESIA
INTRODUZIONE
Non ho mai avuto occasione
di assistere a un poetry slam; e credo che mai mi recherò di mia
volontà ad assistervi, dopo aver ascoltato il resoconto di Palasciano e Maggio che ne sono stati attori, e di Ventre e D’Angelo che ne sono stati spettatori.
Chiariamo
subito che il problema non è chi sia arrivato tra i primi tre
classificati, infine meritevolmente (ché il requisito di merito
richiesto – a quanto poi s’è capito – erano i «toni medi», la Giuria
sdegnando i piú «alti» insieme coi piú «bassi»: si immagini una torre
che un architetto pazzo pieghi a Λ, col
soffitto capovolto e posto allo stesso livello del pianterreno). Il
problema è chi sia arrivato tra gli ultimi tre, e mi riferisco in
particolare al Penultimo: Uno che – ci scommetto la mia verginità
posteriore – a Stoccolma entro il 2050 sarà nobelato, mentre a Caserta
nel 2010 è stato snobbato.
Difatti
lo slam che qui documenterò – limitandomi a riportare commenti tolti da
altre parti di Facebook – si è tenuto lo scorso 16 aprile in Caserta,
«capitale europea del degrado culturale oltreché ambientale» (mi
dicono), presso il Teatro Civico 14; il quale teatro, però, contingenze a
parte, essendo nella sostanza (mi dicono gli stessi) «un’oasi d’arte e
impegno in un deserto di trash e ignavia», non porta pena.
Colpevole
è stata solo la Giuria, composta di persone scelte a caso tra il
pubblico; o meglio quella parte di Giuria che ha espresso voti fuori
d’ogni logica e decenza (piú fuori che mai quelli d’un membro che gli
organizzatori onoravano del titolo contraddittorio di «poeta»),
offendendo Apollo, le Muse ed ogni morto o vivo Poeta autentico – il cui
sudor sia sangue e il sangue oro – presente o contumace al poetry slam
in questione.
Quanto
alla pratica del poetry slam in generale, attendiamo testimonianze
ulteriori; intanto, l’impressione che ce ne viene è quella sintetizzata
nel titolo di questa discussione. Fino a prova contraria, ecco cos’è per
noi – noi amanti della conoscenza, noi sposi dell’immaginazione, noi
accademici avanti tutta di nulla accademia – un poetry slam: una pratica ircocèrvea che abbassa la Poesia alle miserie del volgo anziché innalzare il volgo alla Poesia.
Intendendo per «miserie» – ovviamente – le miserie spirituali:
l’ottusità dell’angolo visuale, la pigrizia di comprendonio, la cultura
codina e la grossolanità del gusto che caratterizzano l’uomo medio.
E meno male che a rialzar la media nasce ogni tanto un uomo che ne vale cinque, tipo un Eratostene, un Avicenna, un Leon Battista Alberti, un Leonardo, un Athanasius Kircher, un Leibniz, un Albrecht von Haller, un Goethe, un Palasciano: ultimo, magari, o penultimo – ma in diversa accezione, mon escient, che a Caserta lo scorso venerdí. Procedo a riprodurre i documenti.
STATUS DI PALASCIANO
Classificato penultimo, ma con soddisfazione d'aver detto «somari» alla Giuria davanti a tutti (prima del voto del ripescaggio; o che sfizio ci sta?). Si salvano le due dame che volevano ripescarmi, e l'organizzatrice (Anna Ruotolo) che in segreto tifava sol per me fin dal principio. Terzultimo Antonio Maggio con
le sue sestine liriche e altro carbonato di calcio in forma sferica per
artiodattili commestibili dal tegumento roseo. Immaginate i commenti di
Daniele Ventre.
COMMENTO DI LEGATORE
La cosa è di un non trascurabile interesse antropologico. Sarebbe stato più o meno normale, difatti, che il Palasciano,
semplicemente, non vincesse, dato che le sue poesie non sono fatte
certo per i gusti della massa; ma che egli sia [...] arrivato penultimo
[...] è veramente un sintomo inquietante [...]. Queste cose in Toscana
non succedono. Venite qui la prossima volta che desiderate declamare le
vostre poesie, tu e Maggio, e magari pure Ventre, colendissimi! Ça va sans dire: nemo propheta in patria.
COMMENTO DI D'ANGELO
E' stato il trionfo dei toni medi. Le poesie di Marco erano agli antipodi dei gusti della giuria. [...]
COMMENTO DI PALASCIANO
Tra l'altro, il migliore tra i cinque finalisti (Iannone) è finito... indovina?... quinto.
COMMENTO PRIVATO ALTRUI
[...] penso che le dinamiche dello slam siano discutibili. Penso anche che la giuria, fatta eccezione per Napolitano, era altrettanto discutibile. [...]
RISPOSTA DI PALASCIANO
AL COMMENTO PRIVATO ALTRUI
[...] il più discutibile della giuria era proprio Napolitano, visto che è stato lui a darmi il voto più basso [...].
In ogni caso, ciò di cui più mi dolgo è di non essere arrivato ultimo,
ma solo penultimo; lo scandalo sarebbe stato massimo, mi sarei divertito
per mesi, invece così mi divertirò solo per giorni.
COMMENTO DI ANNA RUOTOLO
Marco,
Marco... tu sei stato fantastico! Stamattina tutti a casa mia parlano
di te e sentirò ancora in giro apprezzamenti e commenti entusiastici.
Hai portato avanti la tua "strategia" di lettura con l'entusiasmo e la
forza propri di uno slam. La giuria è popolare, è scelta a caso, lo
sai... e comunque non è l'elemento più importante di un poetry slam.
Bisogna, piuttosto, considerare l'impatto sul pubblico. E quello, caro
mio, è tutto a tuo favore. Non sai che piacere sia stato averti avuto a Su il sipario. [...]
CITAZIONE BIBLICA DI PALASCIANO
(GEN 19, 12-16)
[12] Quegli uomini dissero allora a Anna Ruot:
«Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti
hai in Caserta, falli uscire da questo luogo. [13] Perché noi stiamo per
distruggere questo luogo e tutti i suoi abitanti: il grido innalzato
contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a
distruggerli».
[14] Anna Ruot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le
sue figlie, e disse: «Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il
Signore sta per distruggere la città!». Ma parve ai suoi generi che ella
volesse scherzare.
[15] Quando apparve l'alba, gli angeli fecero premura a Anna Ruot,
dicendo: «Su, prendi tuo marito e le tue figlie che hai qui ed esci per
non essere travolta nel castigo della città di Caserta». [16] Anna Ruot indugiava,
ma quegli uomini presero per mano lei, suo marito e le sue due figlie,
per un grande atto di misericordia del Signore verso di lei; la fecero
uscire e la condussero fuori della città.
COMMENTO BREVE DI VENTRE

Lette alcune poesie di Giuseppe Napolitano.
Curiosamente, il tono stilistico di alcune parti delle sue liriche (le
scelte lessicali piuttosto levigate, tendenziale monolinguismo, con uno
stile "medio" che in realtà contiene spinte verso l'alto e verso il
colloquiale), la forma metrica (verso libero che rasenta l'endecasillabo
e il martelliano, o talora rifà certe forme di versificazione meno
visitate, come il dodecasillabo "trocaico" armonizzato di un quaternario
e di un ottonario), le tematiche esistenziali di un certo tipo,
avrebbero dovuto rendergli congeniali almeno alcune poesie di Antonio Maggio.
Il sospetto è che quest'ultimo, per peculiarità che gli sono proprie sul
piano strettamente stilistico, sia stato da lui associato a forme di
neo-ermetismo e di neo-orfismo (ripescaggio di Sentimento del Tempo,
con tanto di sestina lirica), che cretinamente la critica contemporanea
bandisce, preferendo forme di intimismo bleso, che rifà male in ordine
sparso l'ultimo Montale, certo Sanguineti, Amelia Rosselli, Sandro Penna.
Quanto a Marco, l'effetto è stato quello che ha suscitato la prima mostra di Modigliani fra il pubblico della Francia dell'epoca (non so se rendo l'idea).

Altre scelte dello slam, come la relegazione di Iannone
al quinto posto, o il secondo posto del poeta vernacolo che meritava
assai di più, sono indicative di una selezione di un certo tipo (di una
selezione del cavolo, properly...).
E meno male che per sopravvenuti problemi di internet non ho
partecipato. Ci mancava solo il bando del collega anziano poeta in
giuria che ha pubblicato la prima volta con il concorso non secondario
del fatto che suo padre era uno scrittore... Ma tant'è. Ormai tutto è
sospetto.
COMMENTO DI MAGGIO
[Legatore,
ti] ringrazio, il trasferimento in terra toscana (in fondo nelle vene
mi scorre un quarto di sangue senese) è cosa auspicabile; immagino già
di recitare versi assieme al Ventre e al Palasciano tra le verdi campagne che diedero i natali al Petrarca e andare a recuperare energie fisiche ed emotive sul sepolcro di Ugo Foscolo a S. Croce.
[Anna,] ti ringrazio di tutto e ti abbraccio con
affetto: sei stata brava, carina e gentile con tutti i partecipanti, hai
saputo creare una serata piacevole e divertente e mettere a loro agio
anche coloro i quali non erano avvezzi al palcoscenico di un teatro e
all'utilizzo di un microfono.
[...] Danie' non ti crucciare... bisogna sempre
mettersi in gioco, ieri è stata una bella serata ed un'iniziativa molto
stimolante. Servono queste cose altrimenti finiamo tutti come quella
signora che su Fb dona magari il suo apprezzamento a chi cita le canzoni
di Alessandra Amoroso, e dice a me che devo cambiare spacciatore perché mi sono permesso di citare Montale...

La giuria è giuria, croce e delizia di qualsiasi gara... Io ammetto di essere rimasto stranito solo della valutazione di Giuseppe Napolitano, che, essendo un poeta piuttosto affermato, di certo ha compreso la poesia mia, e quella di Palasciano,
sia sul piano formale sia su quello comunicativo. E l'ha bocciata a
prescindere (questa è la mia impressione), non so ora se per il problema
"ungarettiano" che ti poni tu o per altre più semplici motivazioni.
[...] forse non gli andavamo a genio [...].
COMMENTO LUNGO DI VENTRE
Chiariamo una serie di punti.
Ovviamente non viviamo, ahimè, in un'epoca di oralità primaria, né in un'epoca di presunto ritorno dell'oralità primaria.
In
una civiltà orale-aurale pura, la poesia (che è magia e preghiera al
tempo stesso) è infatti l'unica forma di testualità (impropria)
possibile, ed è una testualità aperta (un'ipertestualità permanente) che
permea tutta la dimensione socioculturale del gruppo, ne costituisce
l'identità ed è fondamentale per la sopravvivenza dei singoli e del
gruppo stesso, non meno dei colori rituali dei guerrieri e degli
sciamani. Certe subculture (il rap nella sua dimensione autentica, ad
esempio) esprimono in qualche modo questa forma di oralità-auralità, ma
come fenomeno di ritorno, in uno statuto di marginalità.
La
poesia, in una civiltà aurale, che conosce la scrittura come forma di
registrazione ai fini della futura declamazione, vive in una dimensione
non troppo dissimile dall'oralità, almeno all'inizio. Con una differenza
fondamentale: il testo scritto circoscrive l'identità dell'autore. Fra
il pubblico e l'autore la pagina e l'atramentum si frappongono come un
sottile, invalicabile muro, una membrana i cui canali osmotici si vanno
progressivamente inspessendo, nella misura in cui la civiltà letteraria
si cristallizza nella carta, dalla testualità della prima epopea, alla
lirica, al teatro, all'oratoria, al dialogo, al trattato filosofico,
alla poesia dotta da biblioteca, alla prosa del romanzo e della
declamazione. L'unità indifferenziata originaria si è rotta. Il poeta è
ora membro di un'élite potenzialmente periclitante. L'avvento della
stampa fra medioevo e rinascimento non fa che perfezionare questa
situazione. È l'età industriale a incancrenire il problema.
In primo luogo, il poeta perde centralità ai fini della costituzione del
gruppo sociale. Il muro cartaceo diventa la sua possibile prigione. La
dimensione dell'incomunicabilità, del
millevoltedeclinatoconflittofraintellettualeepubblico (uff!) ne è il
portato spontaneo. Fiorisce una generazione di Werther.
L'editoria
industriale presuppone poi una letteratura di massa, in un'epoca di
civiltà della scrittura, che non può prescindere da pesanti
sovrastrutture di controllo, attraverso cui il mercato agisce di fatto
sul gusto. La poesia, spettro residuale di oralità in un tempo di carte
stampate, si viene affiochendo. Divampata nel Big Bang originario della
cultura orale, si viene man mano riducendo a una radiazione di fondo
sempre più fredda, coglibile solo con strumenti sempre più raffinati e
lontani dal livello comune. Insomma, si trova a dimenticare la sua
essenza di parola primaria, percepibile nell'immediato da tutti.
Il
poeta, grande o piccolo, mediocre o sublime che sia, quando si
confronti con una prova di lettura pubblica, specie se in competizione
con altri, finisce per trovarsi davanti, nella migliore delle ipotesi,
un gruppo ristretto che fa uno sforzo sovrumano per decondizionarsi
dall'environment socioeconomico del mercato postmoderno. Nel caso
italico, si aggiungano una sostanziale realtà di degrado e
destrutturazione del tessuto culturale medio, in una nazione che ha il
più basso livello di lettori in Europa occidentale, insieme a Grecia e
Portogallo.
Questo
dato ha effetti sullo stile. La poesia che deve apparire sulla scena, è
il frutto spesso di solitarie letture e ricerche. Vulnerabile
all'accusa di autoreferenzialità; destituita di un terreno d'ascolto
fertile; esposta a critiche più che ovvie in assenza dei vecchi canoni
formali, che un tempo garantivano almeno la qualità minima della
grammatica del genere e sono ormai triturati da due secoli di proclami
di originalità, novità, sperimentalismo spesso gratuiti o solo presunti,
la poesia presentata in pubblico dal poeta non conosciuto, finisce per
costituire un'esca di incendi psichici più che mai violenti: più che in
passato, pur considerando che la mania versifica è sempre stata un
evento diffuso nelle civiltà letterarie avanzate, sin dai tempi del Suffeno di catulliana memoria.
Teoricamente,
una poesia che raggiunga l'orecchio in uno slam dovrebbe essere porta
in un certo modo: ciò presuppone una tecnica scaltrita della gestione
della voce, tecnica che può essere rischiosa, perché se non condivisa
nella percezione degli effetti essenziali, finisce anch'essa per cadere
nel vuoto, stante che la nostra civiltà viene nel tempo obliterando
anche il teatro (il luogo geometrico di esplicazione delle tecniche
vocali), ridotto anch'esso, sovente, a formalismo sperimentalistico.
Oltretutto,
una poesia da slam dovrebbe essere strutturata in modo da essere
spontaneamente efficace nel momento immediato della produzione-fruizione
orale-aurale. Ciò richiede una sostanziale riformulazione di quello che
si intende come stile. Si dovrebbe almanco tornare all'inutile
maraviglioso mestiere degli improvvisatori settecenteschi, in grado di
comporre al momento intere tragedie, fra endecasillabi sciolti e odicine
di settenari e ottonari.
Si dovrebbe ricostruire l'idea di poesia come performance, di poeta
come performer, di linguaggio poetico come codice eminentemente
performativo, nel senso che al termine conferisce Austin
nella prima parte della sua ricerca su «come far cose con parole». Su
questa ricostruzione di un contesto performativo, di un gioco
linguistico, si dovrebbe far virare lo stile. Ciò implicherebbe la
volontà da parte del gruppo di addivenire a una condivisione estetica
che, apparentemente di livello medio, in realtà ha in sé infinite
possibilità di sviluppo creativo, al di fuori della frustrante barriera
cartacea che separa il poeta dal suo ipotetico ascoltatore.
Al di fuori di questi parametri, la lettura di poesia come comunicazione
rischia di essere un fenomeno stocastico ad alta improbabilità di
inveramento. Al di là delle indubbie capacità e delle doti sia
letterarie sia personali degli organizzatori. In base alle
argomentazioni contenute in tutta questa vichyssoise elucubrativa, io ho
ragione di credere che, nello specifico, lo slam casertano di ieri sia
un caso tipico di questa alta improbabilità.
Alla
dissonanza di fondo, ineliminabile; alla fondamentale non ricettività
del pubblico; al fattore campo, insomma; a tutto questo si aggiunga lo
strano risultato delle valutazioni della giuria (almeno a mio
modestissimo modo di vedere – che il mio modo di vedere sia in realtà
immodestissimo, anzi, deliberatamente greve e spocchioso, credo ormai
risulti più che palese). Ho ragione di affermare che le poesie di Iannone, con la loro concentrata ricerca di senso e la loro spontanea eufonia; la proliferazione stilistica e la tecnica attoriale di Palasciano; la raffinatezza multiforme di Maggio
(forse solo un po' troppo serioso-sopra-i-toni), meritassero qualcosa
di più che l'essere snobbate come sono state, di fatto, snobbate.
L'unica nota meno agra della serata è stata almeno la valorizzazione
parziale della poesia vernacola, il cui autore [Ramelli] ha mostrato un rigore formale e stilistico e un robusto sentire, che sono difficili da trovare.

Temo e sospetto infine, ed il mio timore e i miei sospetti hanno ragioni
circostanziate su cui fondarsi, che la personalità letteraria presente
fra i giurati abbia agito con atteggiamento francamente paternalistico:
condiscendente con tentativi più "alla mano", ha voluto stigmatizzare la
presunta non congenialità di certe ricerche formali con una valutazione
stroncatoria che, francamente, lascia trasparire soltanto uno scarso
rispetto per sperimentazioni letterarie di cui si è percepita la
coerenza, ma si è voluta negare aprioristicamente la validità.