martedì 27 aprile 2010

Palasciano difende Amenábar

Riportiamo la meravigliosa risposta del Presidente dell'Accademia Palasciania alle parole della dottoressa Cavallo che in Facebook (group «Agora» (il film su Ipazia di Alessandria, Amenábar 2009) in Italia!) ha detto del film del regista cileno Alejandro Amenábar Agora: «Mamma mia, che porcata. Quasi peggio di Troy... retorico, insulso, banale. La solita americanata che minestroneggia sulla cultura greca e latina», ella precisando: «Il mio commento ha origine da queste osservazioni: 1. una fotografia [...] tremendamente patinata; 2. un’attrice protagonista sempre col make up perfetto e i capelli scompigliati ad arte persino alla fine, quando viene ammazzata nuda, giusto per strizzare l’occhio al pubblico attirato dalle grazie di Rachel Weisz; 3. il film è permeato da una suspension of disbelief pazzesca! una serie di dialoghi accozzati per far capire, già dopo la prima mezz’ora, che lei arriverà a scoprire che l’orbita della terra è ellittica [...]; cosa che tra l’altro è inventatissima, perché, come si dice alla fine del film, non è stato ritrovato alcun documento scritto da lei; che se il film fosse durato mezz’ora di più sarebbe arrivata a inventarsi il telefono? 4. [...] la cosa più patetica del film sono le riprese della terra dall’alto; sembrano Google Maps». Ed ecco la risposta di Marco Palasciano:



Ma, gentile Cavallo, si tratta di arte, non di un documentario. Se lo lasci dire da un Alfiere dello stile come me, che ho scritto uno storico romanzo storico con le cabine telefoniche nel 1815 messe apposta, nonché gli orologi da polso e le macchine per scrivere (per non parlare dei corvi parlanti in tabarro e gibus).

Quello che conta non è difatti l’evenemenzialità, ma l’exemplum. Ipazia è un simbolo. Quindi ci sta benissimo che chi ha scritto il film abbia sovrapposto alla sua figura un po’ di Keplero, o che abbia resuscitato il vanesio Sinesio di Cirene per metterlo sulla scacchiera della narratio un paio d’anni dopo la sua morte (per giunta capellone; ed era calvo). Agora nasce come opera simbolocentrica, non storicocentrica.

Deve capire che la realtà e la verità sono due cose diverse (si pensi alla funzione sintetica ecc. del mito). Questo film racconta la verità, e lo fa rimodellando la realtà contingente: esattamente quello che può e deve fare un artista. Viva la metastoria e guardiamo alla luna, per favore, non al dito.

Che poi la fotografia sia patinata o l’attrice ben truccata, non capisco perché dovrebbe costituire un intoppo: forse ella dimentica che a teatro gli attori si bistrano gli occhi da secoli, per tacer dei millenari coturni ad aumentarne la statura, o di come cantano i cantanti lirici, o di Picasso. Il realismo in arte (oggi che deve ascendere il mio bel Neobarocco) lasciamolo agli artigianelli senza fantasia. Quando ella vede un film di Greenaway, santi numi, cosa fa? si straccia le vesti?

Infine: le riprese dall’alto e dall’altissimo – quello che a lei sembra il tratto più «patetico» del film (ma il film doveva di per sé essere, e difatti era, [nobilmente] patetico, nel senso di muovere al pathos le anime [nobili]: io ero ebbro di catarsi, e gli applausi a fine proiezione* li ho iniziati io, e io li ho finiti, a metacarpi dolenti) – è per me invece il tratto più azzeccato. Il punto di vista è (quasi) tutto, in arte cinematografica; e farlo muovere al di sopra delle meschinità terrestri, in quest’opera, era d’obbligo, considerato il tipo di contrasto che essa viene a raccontare: la genuina uranotropia dei filosofi, nei quali è naturale la virtù, versus la ctoniotropia dei sedicenti vicari dell’Iperuranio, che in suo nome snaturano l’umano. E se un tale gioco ottico le ricorda troppo Google Earth, pazienza: a me la Gioconda ricorda tavolozza e pennello, pensi un po’.

Se le sue argomentazioni per definire questo film una «porcata» ecc. erano quelle che poc’anzi ho così facilmente disintegrato in polvere, ombra, niente**, le consiglio di non darsi mai all’hobby delle dispute estetiche, o etiche, ma neanche ludiche. E di contare fino a settanta volte sette, prima di cacciare stroncature iperboliche passibili di farle fare macerrima figura innanzi all’ecumene.

Cordiali saluti, suo correttor fraterno

Marco Palasciano

* Cinema Filangieri, Napoli, 24 aprile 2010, proiezione delle 20.00.

** Chiusa del barocchissimo sonetto di Góngora Mientras por competir con tu cabello nella traduzione di Ungaretti.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

[Commento di Franco Cuomo del 28 aprile 2010]

Caro Marco,
sai che condivido ogni virgola, punto e punto e virgola di ciò che dici. Qualche volta magari sono appena basito dalle tue provocazioni verbali, stilistiche e discorsive che sono salutari quando una boccata di aria fresca di una mattinata di primavera. Condivido anche tutta la posizione sulla differenza tra ciò che deve essere reale e ciò che deve essere invenzione artistica o estetica che dir si voglia. Ho odiato Gomorra, che tutti considerano un capolavoro, perchè tutti lo trovavano così intensamente reale ed io a spiegare che se avessi voluto vedere la realtà, non sarei andato a cinema, ma direttamente a Scampia, rimandando la critica direttamente alla Poetica di Aristotele. Il fatto è ,caro Marco, che ha ragione il nostro amico comune Andy Violet, quando sostiene che il Potere sta svuotando il linguaggio, costruendo modelli di linguaggio medio, la cui povertà lessicale, si traduce immediatamente in riduzione delle capacità di astrazione e di riflessione che aprono allo sterminato deserto del beotismo di massa. Lo aveva acutamente e tragicamente annunciato Pasolini nel 1977 in Empirismo Eretico, sembrava così radicale allora e così profonfondamente ovvio oggi. Ma quello che è ormai avvenuto per il linguaggio si traduce analogamente anche per le immagini e per molta narrazione per immagini, ovvero per il cinema. La signora, la dottoressa Cavallo , con la quale hai polemizzato, ha definito AGORA' una porcata, stucchevole, retorico, insulso e banale, io non arrivo alla porcata della dr.ssa Cavallo,c'è veramente molto peggio in giro e non pretendo il documentario storico, per i motivi che ho spiegato in premessa. Avrei preteso però da Amenabar una maggiore spericolatezza estetica che si provasse ad inventare, con considerazioni e spunti tratte dalla letteratura del tempo e sul tempo, più serie e più azzardate proposte visive per costruire la Alessandia d'Egitto del 4 sec.d.C. Come esempio, potrei riportarti alla lettura e alla rappresentazione che del mondo mitico e mediterraneo diede P.P.Pasolini ( sempre lui !) per film come Medea ed Edipo Re, ovvero un universo estetico sfrondato da tutta la stucchevole melassa del classicismo. Quando ho visto i primo fotogrammi di AGORA' e soprattutto i primi dialoghi, non ho potuto fare a meno di pensare a come la televisone e certa filmografia statunitense (Troy )abbiano appiattito l'universo estetico al pari del linguaggio. Esiste un linguaggio medio di massa povero e beota, ma esiste anche un'immaginazione media altrettanto povera e beota. Il film sembrava una fiction, un film del genere "peplum movie " ( l'intellighenzia statunietnse di Hollywood è brava ad incasellare la mediocrità). Tu hai citato Greenaway, ma ti prego Marco, Amenabar avrebbe moltissimo da studiare da Greenaway e soprattutto se avesse avuto la sua cultura visiva ci avrebbe dato una Ipazia sicuramente meno banale di quella che è presentata nel suo film o dei Parabolani meno somiglianti a guerrieri Ninja. Naturalmente non discuto il valore contenustistico che veicolava il film, ovvero l'intolleranza della Chiesa, ma a questo punto dirsi d'accordo su questo mi sembra una ovvietà. Un caro saluto e scusa la lunghezza.

Franco

Marco Palasciano ha detto...

[Commento del 29 aprile 2010]

Agora è un film per educare la massa, dunque per la massa, non per l'élite. Come film per la massa, è assolutamente un capolavoro, funziona perfettamente. Quanto a me che sono iper-élite, plaudo a tale funzionamento con entusiasmo totale, auspicando l'educazione totale della massa. Poi, certo, a livello di fruizione personale posso preferire Creonte che sgambetta per piazza dei Miracoli, o il Sebastiane di Jarman. (Non ho mai paragonato Amenábar a Greenaway, cmq; ho usato Greenaway come esempio estremo di lontananza dal realismo atta a epatare la burgiuassa di turno.) In ogni caso a me il peplum non dispiace (ma, se è per questo, neppure i cartoni animati), e questo è il miglior peplum di tutti i tempi, ed evidenzio miglior e disevidenzio peplum. Ho tanto odiato le surrettizierie e hypocriterie cristianose tipo Quo vadis, quanto amo e amerò per sempre la cruda medicina di Agora. Il quale film m'è capolavoro anche, o proprio, per questo rovesciamento dell'andazzo peplummico scorsosecolare. Rovesciare il mai rovesciato è di per sé atto magno, magnifico, magnificente; questo film è una pietra miliare sulla quale fonderei una nonchiesa.

Anonimo ha detto...

[Commento anonimo del 29 ottobre 2011]

Cribbio, se ti adoro! :)

Marco Palasciano ha detto...

[Commento del 31 ottobre 2011]

Grazie, gentile anima anonima! e s'ella passa per Capua una di queste sere, ed è la giusta sera, venga a vedere De natura mundi, e ne avrà gran diletto; è pure gratis et amore hominis. :)