28 aprile 2010

Il linguaggio della mediocrità

Riportiamo, cavandolo dal group La Superbia punita, un intervento di Andy Violet che si aggiunge alla serie riportata nel post Il dopo-slam: Caserta come Sodoma.

L'analisi di Ventre mi trova, nemmeno a dirlo, puntualmente d'accordo. Aggiungerei alcune piccole osservazioni. Oltre alle ragioni già esposte, il declino della poesia è imputabile, a mio parere, anche ad un generale processo di deverbalizzazione culturale. Intendo, con questa espressione, il progressivo impoverimento del vocabolario di base, che porta con sé effetti devastanti quali la regressione delle capacità astrattive e di pensiero complesso. Le parole perdono la loro identità, la sinonimia si fa evascente, certi lemmi allargano a dismisura l'ambito semantico, altri scompaiono. Non è puro livore stilistico: ne viene lesa la capacità di intendere e di volere, si passa ad una regressione darwiniana dall'uomo all'ominide. Nulla di nuovo, in realtà: è un processo intimamente legato a fattori di potere, un processo gerarchizzante, il cui disegno osceno è però più evidente da circa mezzo secolo o poco più a causa del moltiplicarsi delle possibilità di accesso alla verbalità (i media). Il processo attuale, quindi, è ancora più perverso: se prima vi era scissione tra alfabeti e analfabeti, ora è all'interno dell'alfabetizzazione che si costruiscono modelli verbali fittizi, maschere semantiche all'interno di un perverso gioco di retorica. Si costruisce così un linguaggio medio che è linguaggio della mediocrità, un linguaggio conformante, e non performante come vorrebbe il buon Ventre. Pensiamo solo al valore oscenamente ideologico della storpiatura di laicità in laicismo. La scelta della poesia, come scelta consapevole di allontanamento dalla palude dell'italiano standard, è una guerriglia culturale in cui il guerrigliero si forgia le armi con le proprie mani.

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