18 giugno 2009

Manifesto del panstilismo, o quasi

Ritagliamo dal blog «Nazione Indiana», aggiungendogli la rubrica rubra, un discorso di Marco Palasciano, che rispondeva a un’/un ignota/o utente, la/il quale criticava così certe sue liriche*:

Proprio Elegia, la poesia che lascia l’autore più dubbioso, è a mio avviso di gran lunga la migliore [...]. Gli altri brani invece suonano davvero soltanto come rifacimenti, esercizi, scimmiottamenti d’illustri e obsoleti modelli. [...] Credo che la poesia autentica si crei laddove l’autore non pecca assolutamente, nemmeno in minima parte, di posa; quando si mette a nudo, inchiodato al muro della vita [...]. Ciò che, nelle altre quattro poesie di Palasciano, secondo me non accade. Di conseguenza le discussioni stilistiche [...] perdono significato: giacché si sta vestendo un corpo che non esiste.



Il meraviglioso discorso
del panstilista puro
**


Quasi un manifesto

Nooooooooooooooooo!!!!!!!... Antimateria, a parte che è nata da un’ispirazione che più autentica di così nessuno può, ha commosso vagoni di lettori e di ascoltatori i più raffinati! e la Sestina II, è un condensato di vissuto e di pensato tale che non ha eguali in tutta la mia produzione poetica, tanto che da ogni suo segmento si può dipartire un raggio perpendicolare che porta a un semiocculto lampadario di epifanie e apofanie… Quale «corpo che non esiste»???

Perché farsi influenzare nel giudizio dallo stile “obsoleto”? e perché considerare obsoleti dei modelli solo perché appartengono a un tempo passato? Che cos’è un paio di secoli se non un battito di ciglia?

Io sono per una riforma stravolgente dell’italiano, acché accolga tutti i registri di tutte le epoche: così che lo scrivente disponga, a morte il giornalistico a cinquecento parole, di un’orchestra immensa da far sonare.

Questi suoni mi piacciono da pazzi, e li uso: perché impedirmelo? godo smisuratamente a far rotolare il ritmo dell’endecasillabo nella mia bocca e sulla carta, e quanto più l’endecasillabo è filigranato di classicheria tanto più alta è la mia voluttà… Non mi castrerò in nome di un contemporaneismo di facciata!

Non si può neanche dire che io non mi metta a nudo, scrivendo come scrivo; perché io, dentro, sono esattamente così; ribollo di musica stratificata, le mie passioni danzano secondo quei ritmi là, quelle voci inzuppate di dantesco ecc.; ma so, so bene, che c’è chi soffre di apocopofobia…

Ebbene, essi si curino; rinuncino all’insano pregiudizio; cessino di confondere il panstilismo palascianesco con l’ingenuità dei poetucoli che non hanno mai letto il Novecento. Il Novecento io l’ho letto tutto quanto e, ciononostante, il mio ultimo approdo, nel Duemila, è il resuscitìo delle parole che si credevano morte, ma che dentro le tombe loro saltellavano facendo trallallà; e ora saltellano all’aria del mio giardino, in compagnia delle parole che si credevano le sole vive, senza contare gli hapax che m’invento.

Tutte insieme cantano e ballano, e ce la ridiamo dei compassati snudaccioni basso-poeticanti che non sanno cantar che noie estreme, che si credono furbe e sono sceme; e noi, che facciamo gli scemi per non andare alla guerra, noiosissima guerra dei battoni, non abbiamo la menoma tentazione di menomarci per andare incontro al gusto disgustoso dell’essercito molto dei dappoco, che siccome non sanno gestire un semanticario di ottocento anni vogliono farci credere che la nostra virtù sia un vizio, e che il loro difetto sia ’a meglia cosa.

Non lei, gentilissimo/a; ma quegli altri, che hanno corrotto il suo giudizio con la loro pressione moltitudinaria, abitudinaria, disabituata allo splendore del disabitato. Sì! essi l’accerchiano, con la loro presenza presenzialista presentista; ed è come quando si ha la disgrazia di nascere in un paese ipercattolico. Talché i memi della grande psicofogna intridono i tessuti a fondo e per purificarli ce ne vuole, e meno male che dentro me medesimo ho un alto sole che dissecca il putrido, sebbene tante nubi me l’abbiano accerchiato lungo tempo.

Si liberi ella dunque di quei cani, il cui abbaìo l’abbaglia; e si getti fiducioso/a nell’abisso del palascianesimo; che se non cambierà il mondo, sarà un peccato per il mondo, misero mondo lineare che non sa e non vuole attorcersi all’indietro per meglio guardare avanti. Eppure basterebbe un goccio di non dico follia, né iper-ratio, ma la sintesi dialettica delle due, o insomma qualsiasi cosa ma non – per favore – la pedissequa condanna del pedissequo.

(Cmq, più va avanti questa discussione e più mi convinco che Elegia è una merda...)



* Finora inedite, eccetto la Sestina I (sulla rivista «Sud», 2007) e Delirio/desiderio, alba, infinito (in Marco Palasciano, Ventidue frammenti dal canzoniere in progress, Capuanova, 2009).

** Titolo imitante quello del saggio erotico d'anonimo cinese Il meraviglioso discorso della fanciulla pura.

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