Due parole
su Marco Palasciano
di Andy Violet
su Marco Palasciano
di Andy Violet
Nel pieno della sua carontica vecchiaia, Pablo Picasso affermò di aver impiegato tutta un’esistenza per imparare a dipingere come un bambino. All’infanzia, il vecchio pittore aveva rubato l’immersione completa in una totalità percettiva, una simultaneità caleidoscopica della percezione che si riverbera nell’esistenza che essa sottende e comprova, non ancora ingabbiata nell’ancoraggio al dogma dell’io e di Dio. Dopo di lui, il ’900 non sarà più in grado di avere una visione monolaterale di sé stesso, se non nelle costruzioni mortifere dei totalitarismi e delle grandi superstizioni. Nel superare la mezza età, che è anche età di mezzo, medioevo individuale e titanico, decenni bui dell’autodefinizione pregiudizievole, la vecchiaia, che è distruzione dall’interno del corpo, può ritrovare il gusto tutto infantile del disfacimento programmato, della ricontestualizzazione spiazzante, della deformazione dei suoni e delle immagini che sordità e cataratte conciliano con naturalezza. Laddove l’infanzia opera per mancanza, la vecchiaia agisce per sovraccarico, condensazione concettuale, risintagmazione delle percezioni e delle idee. La precarietà dell’io dell’infanzia e della vecchiaia, così vicine al nulla prestorico l’una, e metastorico l’altra, è la chiave per l’abdicazione volontaria alle stagnazioni esistenziali, cristallizzate in frasi orribili come “io sono un medico” o “io sono un artista”, in cui demandiamo all’immortalità dei concetti la nostra speranza di deità. Non a caso, “Io sono” è la frase preferita di Dio, che non si sognerebbe mai di dire “Io faccio”. Quando però finalmente l’inadeguatezza dell’essere a spiegare l’esistenza si svela, ricollocandoci nella dimensione più propriamente umana della prassi e dell’etica, allora possiamo permetterci di iperconcettualizzare, di avere visioni multifocali, analogiche, multiverbali e multisintattiche: in una parola, fantasia. Nella scrittura, nel personaggio e nell’esistenza di Marco Palasciano, l’iperstrutturazione è il tratto fondante: una perenne sfida alla banalizzazione del sé alla quale l’uomo Palasciano oppone una strenua difesa del suo egotismo infantile, che è la dimensione inutile, gratuita, libera del suo essere tra gli altri, a cui si offre, in un necessario corollario, con l’unica forma inutile, gratuita e libera di interazione umana, il gioco: gioco linguistico, per chi l’ha letto, gioco mimico, facciale, corporale per chi l’ha visto in carne ed ossa, adorabilmente insopportabile come ogni capriccio che si rispetti.
AGGIORNAMENTO. Il riportato post di Andy Violet ha fornito occasione per un post di Franco Cuomo, De docta ignorantia. Incipit: «Chi è Marco Palasciano? Sinceramente lo ignoro, o meglio: lo ignoravo fino a stamattina. Ho appreso della sua esistenza leggendo un post di Andy Violet, faro indiscusso di sapere letterario post-umanistico».
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