
La parola è dunque passata al primo lettore, Marco Palasciano, sublime dantista ed attivista dei diritti civili e della difesa dell’ambiente, che ha alternato proprie liriche, scritte in un arco temporale di vent’anni, alla traduzione di tre sonetti di Lorca [...].
Nelle intenzioni del Palasciano vi era anche quella di alternare alla lettura delle liriche tutta una serie di segni convenzionali che informassero il pubblico degli anni intercorsi tra la stesura di una lirica e l’altra e del metro adoperato: l’accurata legenda dei segni prevedeva un giro di mano per ogni anno intercorso, il segno dell’onda per indicare il verso libero, il taglio della mano all’altezza della bocca dello stomaco ad indicare l’utilizzo del novenario, lo stesso gesto all’altezza dell’intestino cieco per rappresentare il settenario e all’altezza del petto per indicare l’endecasillabo. Tuttavia, su saggio quanto perentorio consiglio del Bellini, il Palasciano desisteva dall’unire alla poesia le sue arti mimiche, concentrando il pathos sulle sue struggenti composizioni. [...]
Seguì, a titolo informativo, il festeggiamento per il genetliaco di Mastro Palasciano, culminato con la dedica a quest’ultimo di una beneaugurante canzoncina sull’aria di Maramao, ribattezzata per l’occasione Palascian perché sei morto («Che tristezza», direbbe lui).
Andy Violet, dal post Metti un pomeriggio a Palazzo Corigliano, Facebook, 27 maggio 2009.
Chiudevano il pregevole consesso Massimiliano Palmese e Marco Palasciano, accomunati dalle iniziali di nome e cognome, e nulla più. Attimo di panico quando il buon Bianchini, pensando di avere davanti un normale essere umano, ha rivolto semplici e legittime domande al Palasciano, come una inerente la sua attività lavorativa: quando il Palasciano ha candidamente risposto di essere un parassita, il presentatore ha istintivamente tirato indietro la sedia, quasi si fosse visto accanto un gorgoglione corruttore del grano o una verde muffa del pane.
Annichilito dall’irregolarità del personaggio palascianesco, il Palmese, con aria pacificamente rassegnata, non proferiva parola, ed invitava tutti gli astanti ad maiora, concludendo l’allegra manifestazione.
Andy Violet, da un commento al suo post cit., 29 maggio 2009.
Con questo, Marco ha fatto un’operazione camp, intesa come proclamazione di adesione ad una inutilità visibile, artistica, e ferocemente critica che ha scosso anche il parterre di intellettuali (me incluso) che, diciamocelo, nei confronti dell’affettazione camp è anestetizzato e manierato.
Franco Cuomo, dal post Una cantonata gay napoletana: ragazzi!!! Napoli non è camp!, blog Cronache da Agartha, 28 maggio 2009.

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