Riportiamo, cavandolo dal group La Superbia punita, un intervento di Andy Violet che si aggiunge alla serie riportata nel post Il dopo-slam: Caserta come Sodoma.
L'analisi
di Ventre mi trova, nemmeno a dirlo, puntualmente d'accordo.
Aggiungerei alcune piccole osservazioni. Oltre alle ragioni già esposte,
il declino della poesia è imputabile, a mio parere, anche ad un
generale processo di deverbalizzazione culturale. Intendo, con questa
espressione, il progressivo impoverimento del vocabolario di base, che
porta con sé effetti devastanti quali la regressione delle capacità
astrattive e di pensiero complesso. Le parole perdono la loro identità,
la sinonimia si fa evascente, certi lemmi allargano a dismisura l'ambito
semantico, altri scompaiono. Non è puro livore stilistico: ne viene
lesa la capacità di intendere e di volere, si passa ad una regressione
darwiniana dall'uomo all'ominide. Nulla di nuovo, in realtà: è un
processo intimamente legato a fattori di potere, un processo
gerarchizzante, il cui disegno osceno è però più evidente da circa mezzo
secolo o poco più a causa del moltiplicarsi delle possibilità di
accesso alla verbalità (i media). Il processo attuale, quindi, è ancora
più perverso: se prima vi era scissione tra alfabeti e analfabeti, ora è
all'interno dell'alfabetizzazione che si costruiscono modelli verbali
fittizi, maschere semantiche all'interno di un perverso gioco di
retorica. Si costruisce così un linguaggio medio che è linguaggio della
mediocrità, un linguaggio conformante, e non performante come vorrebbe
il buon Ventre. Pensiamo solo al valore oscenamente ideologico della
storpiatura di laicità in laicismo. La scelta della
poesia, come scelta consapevole di allontanamento dalla palude
dell'italiano standard, è una guerriglia culturale in cui il
guerrigliero si forgia le armi con le proprie mani.
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