27 agosto 2020

Per i duecentocinquant’anni di Hegel

HEGEL NELLE LEZIONI-SPETTACOLO
DELL’ACCADEMIA PALASCIANIA

Oggi, 27 agosto 2020, è il 250° compleanno di colui che Arthur Schopenhauer chiama «il gran ciarlatano»: Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per la maggior parte dei suoi coevi il piú grande filosofo dell’epoca (dalla morte di Kant, 1804, alla sua, 1831). Assembliamo in questo post, per l’occasione, tutti gli aneddoti su Hegel dal festival-laboratorio del 2015 Le 77 meraviglie dell’Ottocento palascianiano.

Nel 1802 Hegel ha trentun anni allorché muore di scarlattina una certa signora Susette, moglie d’un banchiere; e il di lei amante, il poeta Friedrich Hölderlin, comincia a perdere il lume della ragione. Qualche tempo dopo, nel 1807, il filosofo Friedrich Schelling, preoccupato per le condizioni di salute dell’amico, prega il collega Hegel di ospitare per un po’ il povero Hölderlin a casa sua. Hegel rifiuta. Hölderlin verrà infine ricoverato a Tubinga nella clinica psichiatrica del professor Autenrieth, al cui nome è legata la cosiddetta museruola di Autenrieth, destinata a impedire le urla dei pazienti.

Nel 1818 Hegel inizia a insegnare all’Università di Berlino, da cui eserciterà la sua egemonia sulla cultura tedesca. Due anni dopo, Schopenhauer viene assunto come libero docente nella stessa Università; e, con assurda precisione e audacia, fissa apposta gli orari delle sue lezioni in concomitanza con le lezioni di Hegel, talché tutti vanno da Hegel e nessuno da Schopenhauer, che però è contento cosí.

Meglio Hegel o Schopenhauer? Dirà nel 2015 un mio amico avvocato: «Schopenhauer non ha mai tradito sé stesso svendendo il culo alla causa dell’Impero [come fece invece Hegel]. […] Schopenhauer […] ha rivoltato come un calzino puzzolente una tradizione durata venti secoli, e risulta oggi come non mai indigesto ad una società dopata fino allo spasmo dell’autoestinzione dall’induzione pianificata al competere e al volere a tutti i costi».

Torniamo appunto al competitivo, volenteroso Hegel. Che nel 1825, per inciso, impone al figlio illegittimo Ludwig – il quale gli ha rubato del denaro – di non portare piú il suo cognome; talché Ludwig assume il cognome della madre, Fischer, e lascia la Germania per l’Olanda; arruolatosi nell’esercito olandese, partirà per l’Indonesia.

Nel 1829, Hegel strega Feuerbach, un altro Ludwig, che non studia ancora filosofia a Berlino bensí teologia a Heidelberg ma, narrerà, «Bastò che per un semestre seguissi le sue lezioni» – quelle di Hegel – «e la mia testa e il mio cuore furono rimessi sulla loro via; io seppi ciò che dovevo e volevo: non teologia, ma filosofia! Non vaneggiare e fantasticare, ma imparare! Non credere, ma pensare!».

L’anno dopo, due rivoluzioni – la francese di luglio e la belga d’agosto – destano una certa preoccupazione nei governi della Confederazione germanica. Ed Hegel cosa fa? (1) dalla sua cattedra all’Università di Berlino, condanna duramente le suddette rivoluzioni? (2) o le esalta, lanciando urla di giubilo innanzi ai suoi studenti e sobillandoli a rivoltarsi anch’essi? Indovinate.

Proprio allora, Feuerbach – che all’epoca insegna filosofia nella cittadina bavarese di Erlangen – si stacca dal pensiero di Hegel. E pubblica, anonimi, i Pensieri sulla morte e l’immortalità. Il libro è visto dal governo della Baviera come un pericoloso attentato all’ordine e all’autorità, e viene sequestrato. Non basta. Si indaga; si scopre che l’autore è Feuerbach; e questi è costretto a dimettersi dal suo impiego all’Università.

Nel 1831, a Giakarta, Ludwig Fischer soccombe alla malaria; ma il padre non saprà mai della morte del figlio, che anticipa la sua di pochi mesi. Ed eccolo morire, Hegel, lí a Berlino, con funerali ancora piú sfarzosi di quelli di Beethoven a Vienna, tra trombe e tromboni trombeggianti per quel gran trombone d’un filosofone, tuba mirum spargens sonum per sepulchra regïonum. E Schelling si frega le mani: è lui, ora, il filosofo piú autorevole al mondo. Lo sarà fino al 1854, quando pure lui schiatterà.

Nel 1835 si apre la polemica tra hegeliani di destra e di sinistra. A scatenare ciò è la pubblicazione de La vita di Gesú di David Strauss, che definisce il Vangelo mitologia. Apriti cielo. Ha utilizzato, per far questo, la filosofia di Hegel. Ora, la destra hegeliana interpreta la filosofia di Hegel come perfettamente compatibile con i dogmi del cistianesimo, mentre la sinistra hegeliana dice che non è compatibile manco per il Kaiser. Da cui il caos.

Nel 1839 esce in Germania un nuovo libro di Feuerbach: Per la critica della filosofia hegeliana. Sebbene Feuerbach stesso sia un erede di Hegel, dice qui che non è possibile considerare come assoluto, definitivo, un singolo sistema di pensiero, anche riconoscendo la sua logica, universalità e ricchezza; se questo avvenisse, significherebbe arrestare il tempo, e portare gli uomini a rinunciare alla libera ricerca. Hegel diceva invece che, una volta trovato il sistema perfetto, morta lí. E indovinate secondo Hegel chi aveva trovato il sistema perfetto: Hegel!

Due anni dopo, esce l’opera principale di Feuerbach: L’essenza del cristianesimo. Il libro avrà un clamoroso successo e farà di Feuerbach, per alcuni anni, il leader della sinistra hegeliana, cioè la corrente atea. Nello stesso anno 1841, a Bonn, in Renania, due ragazzacci – Bruno Bauer (trentaduenne professore di teologia all’Università di Bonn) e il suo amico Karl (ventitreenne laureato in filosofia a Jena) – trascorrono l’estate ubriacandosi di continuo, cavalcando un asino e andando a sghignazzare in chiesa. Il colmo però lo si tocca allorché Bauer scrive il libello La tromba del Giudizio universale contro Hegel, ateo e Anticristo; per questo, egli verrà espulso dall’Università. E Karl vedrà sfumare l’ultima sua occasione di iniziare una carriera accademica; ripiegherà, perciò, sulla politica; con le conseguenze che tutti sappiamo, giacché il suo cognome è Marx.

Lo stesso anno, intanto, il danese Søren Kierkegaard – tutt’altro che un allegrone – si laurea e molla la fidanzata, per trasferirsi da Copenaghen a Berlino e seguire le lezioni di Schelling. Schelling, insieme coi defunti Hegel e Fichte, costituisce una trinità, quella dei tre grandi filosofi idealisti. (Trinità che un certo Friedrich Dorguth – ammiratore del loro opposto, e cioè di Schopenhauer – chiamava «la congrega dei cialtroni».) A seguir le sue lezioni ecco pure, fra gli altri, oltre Kierkegaard, quel comunistone di Friedrich Engels e quell’anarchicone del russo Mikhail Bakunin. E tutti e tre le trovano piuttosto deludenti. Kierkegaard le descriverà come «un insopportabile nonsenso».

Deluso da Schelling, per vendetta trasversale il principe dei filosofi danesi se la prende con Hegel: in Aut-Aut, del 1843, lo accusa di avere disumanizzato la vita col negare il libero arbitrio, avendo distrutto l’aut-aut, base della vecchia logica aristotelica, che Hegel aveva sostituita con la sua logica dialettica. Per esempio si piglia l’essere, poi la sua antitesi, il non essere, e si opera una sintesi dei due: ne esce il divenire. Analogamente si troverà ogni volta un qualcosa che rappresenti la soluzione del conflitto fra due cose che siano l’una la negazione dell’altra. Il problema è che questa conciliazione è meccanica, automatica: l’individuo non ha scelta, può solo sottomettersi. Kierkegaard crede invece che Dio lasci l’uomo libero di scegliere in modo molto piú fantasioso, e in Aut-aut descrive in proposito i tre stadi del cammin di nostra vita: estetico (tipo Don Giovanni), etico (tipo borghese con famiglia a carico), religioso (tipo hippy strafattone).

Nel 1847 esce un saggio di Marx intitolato Miseria della filosofia, in cui dichiara che il suo socialismo è piú scientifico di quello di Proudhon, che non capisce niente di economia ed è convinto che si potrà giungere al socialismo per via pacifica, attraverso progressive riforme della società; invece Marx – che ha preso da Hegel la fissazione dogmatica per la storia che deve compiersi secondo un fatale sviluppo matematico – vede nel conflitto tra borghesia e proletariato il teatro del compimento finale della storia umana, che sarà segnato da una violenta rivoluzione.

Nel 1854 Fëdor Dostoevskij, ch’era ai lavori forzati in Siberia, ottiene la libertà per buona condotta, con la possibilità di scontare il resto della pena servendo nell’esercito russo nella città di Semipalatinsk, vicino al confine con la Cina. In questo periodo gli saranno di grande supporto morale i libri inviatigli clandestinamente dal fratello Michail, tra cui forse anche Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel; e se è vero, sarà scoppiato a piangere nel leggerne quel brano in cui, parlando dell’Asia, Hegel dice di non essere interessato alla Siberia «in nessun modo, perché la zona nordica giace fuori dalla storia». Per Hegel difatti la storia è espressione del divenire della Ragione, dell’Assoluto; divenire che però lascia fuori quegli àmbiti dell’esistere non razionalizzabili. Cosí è per la Siberia, ma anche per il continente africano, «il continente bambino». Luoghi che agli occhi del filosofo non sono comprensibili con il lume della ragione, e dunque vanno ignorati.

Nel 1858 a Torino, sulla “Rivista Contemporanea”, esce un articolone di Francesco De Sanctis intitolato Schopenhauer e Leopardi. Il passo piú simpatico è il seguente: «Volete istupidire un giovane, renderlo per sempre inetto a pensare? Mettetegli in mano un libro di Hegel».

Nel 1873 a Napoli Bakunin scrive la sua unica opera completa, Stato e anarchia, dove dice che il potere non deve essere delegato a nessuno perché chi è investito di un’autorità sarà, secondo una legge sociale immutabile, uno sfruttatore della società. Già che c’è, critica anche Marx e il suo ideale di dittatura del proletariato. Hegel già era odioso, ma Marx è la propaggine piú odiosa di Hegel; e insomma, dice Bakunin, «Chi parte dal pensiero astratto non potrà mai giungere alla vita». Marx da Londra gli risponde che è un asino che non capisce una mazza di economia.

Aggiungiamo, traendolo dal festival-laboratorio del 2017-2018 Dal Paleolitico a Palasciania, che nel 1940 Karl Popper confuterà come pseudoscientifico tanto il pensiero di Hegel quanto quello di Marx. (Hegeliani e marxisti ci perdonino: noi tifiamo per Schopenhauer e Bakunin!) E concludiamo col citare il festival-laboratorio del 2018-2019, Ortelius Room:

«Infine, di tutti i nostri tentativi di comprendere il mondo, di schematizzarlo, nessuno potrà mai essere quello perfetto, checché sperasse Hegel. Quell’illuso!»

1 commento:

  1. che meraviglia la filosofia post drive-in!!! esilarante!!! ma perchè non farne un musical???
    Se non fosse che sono tutti uomini, e, si sa, un musical senza donne non regge neanche in salsa gaya...
    Comunque, manca Croce all'appello, che pure aveva i duoi diritti.

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