19 agosto 2020

La biografia di Nikolaus von Schönberg

(Vedi anche, in YouTube, la lezione-spettacolo Capua città “copernicana”. L’Arcivescovo Schönberg e la nascita della scienza moderna.)

Nikolaus von Schönberg – nome talvolta italianizzato in Niccolò Schomberg – nacque l’11 agosto 1472 in Sassonia, nei pressi di Meissen (città detta «la culla della Sassonia»), da una nobile famiglia che aveva già nel suo albero genealogico diversi vescovi di Meissen.

(La località in cui vissero gli Schönberg sarebbe poi divenuta, prendendo nome da essi, il villaggio di Rothschönberg, nel 2020 sotto i trecento abitanti.)

Il giovane Nikolaus fu canonico nella cattedrale di Naumburg (attuale Saale), al pari dei suoi fratelli Hans e Dietrich; e venne a studiare in Italia, a Pisa, qui divenendo dottore in Giurisprudenza.

Ispirato – ventitreenne – dai discorsi tenuti da fra’ Girolamo Savonarola a Pisa nel 1495, nel 1498 divenne frate domenicano, assistendo intanto con triste imbarazzo alla fine del suo mèntore: lo stesso anno, difatti, Savonarola veniva bruciato sul rogo, per la gioia di Papa Alessandro VI (il cui figlio Cesare Borgia, per inciso, tre anni dopo avrebbe compiuto il sacco di Capua).

A Firenze, fra’ Nikolaus divenne anche dottore in Teologia; né gli bastò. L’amore per il sapere lo spinse a integrare i suoi studi con la matematica, l’astronomia, la medicina, la geografia.

Parlava inoltre diverse lingue; e questo – insieme con l’eccellente carattere, improntato a un’irenica apertura mentale tipica del miglior Rinascimento – lo agevolò nei suoi viaggi in giro per il mondo al servizio dell’Ordine Domenicano: nominato suo procuratore generale, fu nunzio in Spagna e in Ungheria; fu anche in missione nell’Impero Ottomano, fra la Turchia e Gerusalemme; per scopi scientifici soggiornò a Oxford, Salamanca, Parigi, Bologna, Napoli; nel 1506, trentaquattrenne, divenne priore del Convento di San Marco a Firenze, carica già ricoperta dal Savonarola; ma presto si spostò a Bruges, in Belgio (non trascurando di far tappa a Sponheim, in Renania, per incontrare il dottissimo Abate Tritemio, umanista e scienziato autore della celebre Steganogràphia), stabilendosi quindi, nel 1508, a Roma.

Qui fu al servizio di Papa Giulio II – gran committente di Raffaello e Michelangelo – nel contempo insegnando, dal 1510, all’Università della Sapienza. I discorsi ivi da lui tenuti trovarono pubblicazione nel 1512; anno in cui inoltre ebbe inizio il Quinto Concilio Lateranense, che si sarebbe concluso nel 1517 e in cui Schönberg svolse le funzioni di procuratore per conto del duca Giorgio di Sassonia.

Frattanto, nel 1513, saliva al soglio pontificio il figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni de’ Medici, assumendo il nome di Leone X. Questi, che come il Papa precedente e i successivi ebbe grande stima tanto dell’enciclopedica cultura di Schönberg quanto della sua intelligenza diplomatica, lo inviò nuovamente in giro per l'Europa, come legato pontificio, al fine di concertare una crociata contro i turchi ottomani (infine mai attuàtasi), ma anche per altre missioni; cosicché fu ora a Innsbruck, da Massimiliano I, Imperatore del Sacro Romano Impero; ora alle corti di Ungheria, di Polonia, di Moscòvia; ora dal Gran Maestro dei Cavalieri Teutònici, Alberto di Brandeburgo; ecc.

In riconoscimento dei suoi molti meriti, il 12 settembre 1520 Leone X lo nominò Arcivescovo di Capua. Schönberg aveva allora quarantotto anni. Tre mesi prima, per inciso, lo stesso Papa aveva emesso la famosa bolla con cui si condannava buona parte delle tesi formulate nel 1517 da Martin Lutero; e tre mesi dopo, Lutero avrebbe preso quella bolla e l’avrebbe bruciata sulla pubblica piazza. Da qui sarebbe divampata la Riforma. La Controriforma avrebbe poi fra l’altro portato, nel secolo successivo, al piú grave conflitto tra Scienza e Fede; le quali però, al tempo dell’Arcivescovo Schönberg, ancora convivevano pacificamente, sebbene un certo astronomo polacco sentisse già nell’aria che la sua teoria non avrebbe avuto cammino facile.

Schönberg fu Arcivescovo per quindici anni e mezzo, alternando le sue cure pastorali per l’Arcidiocesi capuana con le ulteriori missioni in cui venne impegnato dai Papi del tempo; tra cui l’aver parte al governo fiorentino nel 1531 (era allora Papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici), apportando equilibrio nella turbolenta situazione ingeneratasi con il ribaltamento di Firenze – da che era Repubblica – in Ducato. Primo Duca il ventenne Alessandro de’ Medici. Dello Schönberg governatore parla con ammirazione Francesco Guicciardini:
«La mente sua circa le cose della giustitia è optima, et con gran satisfactione universale»; «la camera sua sta con lo uscio aperto dalla mactina alla sera, in modo che, a ogni hora, ciaschuno gli può parlare»…
Eccolo infine tornarsene a Capua; e ancorché «lui sia a proposito assai in quella città» (cioè Schönberg fosse perfetto Arcivescovo per Capua, e Capua città perfetta per un tale Arcivescovo), il Guicciardini non può non dolersi della sua partenza da Firenze, ben sapendo che il giovane Duca avrebbe avuto bisogno per alquanto piú tempo di «havere appresso a sé un tale instrumento» di temperanza.

Fu, tra l’altro, anche Abate commendatario dell’Abbazia di San Donato (a Sesto Calende, in Lombardia), allora in via d’esser ceduta all’Ospedale Maggiore di Milano. Le trattative in proposito furono concluse nel 1534 da un decreto di Papa Paolo III, includente l’assegnazione a Schönberg di una pensione annua di trecento scudi d’oro.

Fu poi lo stesso Paolo III, l’anno dopo, a elevarlo alla dignità di Cardinale; ed essendo egli Arcivescovo di Capua, da allora venne detto «il Cardinale Capuano».

A consegnare Schönberg alla storia – in ispecifico alla storia della scienza – sarà infine la lettera da lui inviata il 1° novembre 1536 all’astronomo polacco di cui sopra, Mikołaj Kopèrnik, piú noto agli italòfoni come Niccolò Copèrnico.

Copernico era restio alla pubblicazione della sua teoria eliocentrica, temendo le reazioni negative che avrebbe potuto suscitare nella Chiesa. Ma il Cardinale Capuano – venuto a conoscenza di quelle idee tramite un’opera minore di Copernico che, inedita, circolava in pochissime copie manoscritte tra amici (il De hypòthesibus mòtuum cœlèstium a se constitútis commentàriolus) – lo incoraggiò:
«[…] non solo sei versato in modo eccellente nelle scoperte degli antichi matematici, ma hai anche fondato un nuovo modello del mondo, in virtú del quale insegni che la Terra si muove e che il Sole […] occupa il centro del sistema […]. Dunque, uomo dottissimo, se non ti sono di fastidio, ti chiedo e ancora vivamente ti chiedo che questa tua scoperta venga comunicata agli studiosi».
Il 28 aprile 1536, all'età di sessantatré anni, stanco della vita attiva, Schönberg si dimise dal suo ufficio di Arcivescovo di Capua.

Di nuovo a Roma, fu assegnato infine alla Basilica Crescentiana di San Sisto, presso San Paolo fuori le mura; e là morí, il 7 settembre 1537, per essere sepolto nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Lo stesso luogo in cui, nel 1633, Galileo Galilei sarebbe stato costretto all’abiura delle idee copernicane; ma questa è un’altra storia. Una storia che vedrà tra i suoi protagonisti – mirabile casu! – un altro celebre Arcivescovo di Capua, la cui statua si può oggi ammirare nei pressi del portale del Seminario Campano: san Roberto Bellarmino.

Fu intanto pubblicato appena in tempo prima della morte di Copernico, nel 1543, il suo opus magnum, l’opera (con dedica a Papa Paolo III) che segna la nascita della scienza moderna: il De revolutiònibus òrbium cœlèstium. Nella sua prefazione Copernico aveva scritto:
«[…] il timore del disprezzo che avrei potuto subire per la novità e l’assurdità di questa mia teoria per poco non mi spinse ad abbandonare del tutto l’opera compiuta. Ma gli amici me ne distolsero, […] e fra questi primo fu Nikolaus von Schönberg, il Cardinale capuano, celebre in ogni campo del sapere».
E incastonate in quella stessa prefazione di Copernico si trovano le parole di Nikolaus von Schönberg, quella sua lettera meravigliosa di sette anni prima, grazie alla quale l’inizio della scienza moderna non è slittato a cent’anni dopo. 

Marco Palasciano

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