30 dicembre 2010

Quarantamila auguri di buon anno

Quattro giorni or sono s’è tenuta in Capua l’ultima delle quattro rappresentazioni previste – una per ciascuna domenica mattina di dicembre 2010 – della sesta annata dei Percorsi della memoria, spettacolo itinerante e iteratissimo ideato da Giuseppe Bellone, basato su un testo di Marco Palasciano (Le strade e le storie di Capua. Dialogo didascalico in otto quadri dove i vivi parlano coi morti, 2005) e prodotto dall’associazione Architempo, con attori della Mansarda Teatro dell’Orco diretti da Maurizio Azzurro (nelle foto, di Capuaonline.com: allestimento originario del 2005, per la regia di Roberto Solofria).


E oggi, mercoledí 29 dicembre, un paio d’ore dopo il tramonto, il presente blog ha totalizzato 40.000 visite (in due anni è una miseria!, ma pazienza). Fondato il 1° gennaio 2009, ha ricevuto in media circa 20.054,9 visite all’anno; circa 1671,2 visite al mese; circa 384,6 visite alla settimana; circa 54,9 visite al giorno; circa 2,3 visite all’ora; circa 1 visita ogni 26 minuti e 12 secondi e mezzo. Come già per la decimillesima, la ventimillesima e la trentamillesima, cogliamo l’occasione della quarantamillesima visita per pubblicare qualche excerptum particolare del canzoniere in progress del Maestro Palasciano. Scegliamo, per l’occasione, due pezzi. Uno, ovviamente, da Le strade e le storie di Capua; si tratta dell’ottava (2003) che conclude l’ottavo quadro:

Mio bel fiore d’amor che tutto luce
rompi il quadro di tenebra del mondo,
mio bel fiore di tenebra che a fondo
tagli del mondo la banale luce,
mio bel fiore di tenebra e di luce
che scombini i parametri del mondo,
già l’ottava alla fine mi conduce
e ancor per nulla t’ho descritto a fondo.

L’altro è il sonetto palascianesco piú amato: il Tema del poemetto anagrammatico Storia di un umanesimo negato (2002), recentemente citato nel corso della settima lezione-spettacolo del seminario filosofico-enciclopedico La Grande Ruota delle Umane Cose (De Magna Rota Rerum Humanarum):


«In principio…» o forse è tutto un nastro
di Möbius, perforato pentagramma
dai cui segni esce luce: ed ecco un astro,
una stella cometa, ogni altra fiamma

o cristallo di neve – onde l’impiastro
di molecole insieme babbo e mamma
d’alghe, e vermi, e del bipede (disastro)
che pensa in lui s’arresti l’anagramma.

Cosí non è; ché un centro non esiste,
se non esiste alcun principio o fine;
e mi spiace che ciò ti renda triste.

Godi, invece, ché è poco quel che hai perso:
fuor del tuo guscio, vedi le divine
prospettive; e t’è guscio l’universo.


Non ci resta che augurarvi / buona fine e buon principio, / siate magni o siate parvi, / siate in cella o in municipio.

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