venerdì 11 giugno 2010

Un triplice sonetto genetliaco

Un nostro alto accademico di cui non possiamo fare il nome (Marco Palasciano) ha dedicato a un altro il triplice sonetto genetliaco che qui segue. Sulla multiplazione sonettiera, intanto, cfr. Un duplice sonetto genetliaco; sul topos della difficoltà a produr sonetti, vedi la nota a piè di pagina in Palasciano ricade nel sonetto.




TRIPLO SONETTO
PER IL COMPLEANNO DI SANTE

11 giugno 2010


La triade di galassie Arp 274, scoperta nel 2009.

VIII

Ogni nove di giugno nove dee
noccano all’uscio della mia barocca
baracca, a ricordarmi: «A Sante tocca
oggi un sonetto; smuovi affetto e idee!».

È sempre piú l’affetto, Muse mee,
ma le idee sempre meno; in me s’abbiocca
il cervel, mentr’il vas del cuor trabocca,
dal che venir non pôn che rime ree.

Non resta che sperar nella sua pièta,
onde dinanzi a cosí stente rime
buon viso faccia Sante e non vomisca;

ché a voi non può piú chiedere il poeta
getton, svuotato avendo già le opime
vostre borse all’euristica mia bisca.



IX

Cosí dispersa è l’arte mia nei freddi
trattati, nei racconti peregrini,
nei progetti che spèransi divini
e han forse men poesia che gli «occhi beddi,

muntagne e campaneddi» e gli orsi Teddy
deposti sui cuscini dei bambini.
Cosí i sonetti miei mancano i fini;
o mancano tout court, come per Eddi,

Antimo, ed altri il genetliaco giorno
dei quali scorse senza ch’io scrivessi
un distico né manco un sol versetto;

ma, almen, li vidi; e assai piú fondo scorno
avrei se a te, che a un parsec dai miei pressi
vivi, saltassi un anno il far sonetto.


X

Ma l’oggi è ieri già, ë già il domani
è öggi; ë se tre giorni s’è tardato
a cacare un sonetto dedicato,
è giusto che piú e piú si sforzin gli ani

dei poeti, ad espellere banani
lunghi tre volte l’usuäl formato.
Ecco perciò il mio dono triplicato.
Eccotelo, ancor caldo, nelle mani.

Infine se codesta mia cacata
di trisonetto di buon compleanno
almeno t’ha fruttato un cachinnetto,

non sarà stato van, pur se incendiata
mi trovo ogni emorroide e immenso è il danno;
e tanti auguri a te, Sante diletto.




Che altro dire? che il sonettiere ha barato: sì, «l’oggi è ieri già, ë già il domani / è öggi»; ma, sebbene vi siano qui uno ieri, un oggi e un domani, non si tratta di tre giorni, in totale, bensì due! Gli è che i sonetti avevano da esser per forza tre, avendone egli consumato già lo spazio di due senz'essere arrivato a dire ancora «tanti auguri a te»; e così, ha prestidigitato.

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