A insediarsi e impedanarsi, la sera del 29 giugno 2010, in piazza del Plebiscito, è convenuto uno scelto insieme di giocatori, giudici, lettori, cultori e piú o men cólti spettatori. Al pubblico s’è chiesto, in primis, d’ideare – affatto liberamente – i temi fra i quali poi scegliere a caso quelli sui quali far sviluppare improptus in endecasillabi e settenari ai verseggiatori coinvolti nel giuoco dell’Officina dei Canti: Edgardo Bellini, Antonio Maggio, Marco Palasciano, Daniele Ventre.
Personalmente
non sono d’accordo con la tenzone poetica. In questo senso mi sento
poco medievale, credo che ci sia bisogno d’intimità per comporre e tempo
per far lievitare la parola poetica. Penso che anche Giacomo sia dalla
mia parte. Ribadisco la mia simpatia per te e la mia stima per ciò che fai – pochissimi sono brillanti e competenti come te –, ma anche il mio disappunto per la tenzone poetica scelta per festeggiare l’autore dei Canti, l’amatissimo Giacomo Leopardi. Sarebbe stata piú indicata per ricordare un Marino e pure un Palazzeschi. |
Ma torniamo allo show 2010; il quale, va detto, ha decisamente e recisamente divertito e appagato (altro che epatoclasti poetry slam) tutt’i presenti: scriptores, e lectores, e auditores. Questi i temi pescatisi dall’urna*****, nel corso della gara, un per ciascuna delle cinque manche:
1. Gomma da masticare 2. Un foglio bianco 3. Essere antileopardiano 4. La dichiarazione dei redditi 5. Eros |
Questi invece i diciotto temi rimasti dormienti nell’urna: Albero, Amore disperato, Anima, Aquila, Cappello, Carattere dei napoletani, Fiore, Il Sud, Isola, Le maschere dei poeti, Malattia, Numero 5, Sogno, Stelle, Suola, Un sorriso, Vesuvio, Volo.
E cosí, con ogni volta circa tre minuti a disposizione, senza praticamente il tempo di tornare indietro a limare né meglio interrelare i versi, i versaiuoli in gara hanno deposto, come insette in travaglio moribonde, temerarie abortuova come questa:
Gomma da masticare
O gomma che t’attacchi alla gengiva, causando pena ohimè nonché fastidio, disturbando il mio canto misolidio e rendendomi priva l’anima d’ogni lepido sollazzo, gomma, perché natura è sí meccanica, e non segue il mio velle, e ogni ragione umana, par, repelle? E che dire di quando non la bocca fastidisce, ma il manto stradal tocca la tua sostanza refrattaria al senno, e l’intride, e fa macchia che nei secoli mai non leverassi? e tu sotto i miei passi alle suole t’attacchi. O gomma odiosa! t’odio, pur quando il tuo colore è rosa. |
O questa (del medesimo autore, in attesa che gli altri ci spediscano le loro, delle quali pubblicheremo un florilegio in un prossimo post, in ulteriore attesa che si stàmpino in libríno tutt’i testi):
Eros
Eros, tu forza prima dell’universo! pure sul ritratto di quella bella donna là scolpito nel monumento sepolcrale, slurp, leggo segnali, tutta una semantica, che stimolano il mio velle vizioso, sí che non posso far star fermo il coso, e tuttavia poiché il luogo è questo, occorre che s’acquieti; Eros, perché tra lapidi mi segui? Mi sa che devo andare da un terapeuta, che argini un tal mare di voluttà che l’anima mi guasta; ahi, perché aver non posso vita casta? O servitú! però, l’è deliziosa; ve n’è di peggio, certo… onde lagnare troppo non mi posso di quest’eterno mattutino osso******, morning boner, com’usa dire l’anglio. E a strangolarmi è dolce questo ganglio. |
O questa, che è quella che ha ricevuti piú applausi:
Essere antileopardiano
Leopardi mio, che noia, in te non vedo un’ombra né di gioia né d’ironia! Lo so, son miope, è vero; in te vedo soltanto il cimitero, non il giardin, non l’oasi di pensiero; ma lascia ch’io mi crògioli nella facile cosa, lascia che la mia mente resti ’nfosa di quella voluttà che alberga in chi mai della vita il nòcciolo capí, e della scorza s’accontenta e gode. Leopardi, t’odio; il genio tuo mi rode; ti sminuirò finché mi resti fiato; e non vi sembri ingrato il mio fare; son solo uno che sta a sguazzar nel proprio brolo, nel proprio cretto inetto e cretinetto, e gretto, e cosí via. |
Marco Palasciano introduce l'Officina dei Canti. In prima fila sono le tre giurate,
con al centro Pina Lamberti Sorrentino, in abito leopardato in onor di Leopardi.
A chiudere in bellezza, Palasciano ha recitato Il sabato del villaggio, cosí come in apertura di serata aveva dato lectura del frammento «Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno» e dei canti Alla luna, L’infinito e – per passare in breve, indi, alla gara – Scherzo, stando il testo di quest’ultimo a origine del nome Officina dei Canti, e stando il leggerlo a sottolineatura del fatto che, mancando il tempo, sarebbe pur mancata ahimè la lima.
* Alla luna, 15.
** Il sabato del villaggio, 19.
*** La sera del dí di festa, 2.
**** Ultimo canto di Saffo, 58-62: «E tu cui lungo / amore indarno, e lunga fede, e vano / d’implacato desio furor mi strinse, / vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal».
***** Stessa urna adoperata, a novembre scorso, nel giuoco del Laboratorio musicale; vedi qui.
****** In inglese, per l’esattezza, osso dicesi bone; boner vale, gergalmente, pene eretto, errore grossolano (cfr. il nostro cazzata) ecc. Qui una simpatica video-lezione sul come prendersi cura del proprio morning boner.
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