Con piacere apprendiamo dell'imminente messa in scena a Palazzo Fazio*, con il patrocinio di Amnesty International e nell'àmbito delle celebrazioni del XVII Premio Capua Follaro d'Oro, di Il sulfamidico di Giovanni Meola, con Enrico Ottaviano, lunedì 9 febbraio 2009 alle ore 21.00**. Si entra gratis. Per l'occasione rispolveriamo questa, insolitamente sobria, recensione*** di Marco Palasciano:
L’argomento
è la tragedia immane dell’ Argentina del 1976-1983. Ma cosa sono gli
strani gesti che l’attore, seduto fronte al pubblico, agisce, o da cui è
agíto, a principio dramma? Poi si capirà. Riguardano quella che, in
esso, è la catastrofe minuscola e laterale alla catastrofe grande.
Lo spettacolo è di forte impatto emotivo. E affronta, nell’impianto
dell’opera e nella resa attoriale, due notevoli difficoltà. La prima è
quella, comune al teatro civile in genere, di dovere offrire allo
spettatore una serie di informazioni vitali evitando, nel contempo, di
scivolare nel didascalico. La seconda è l’acrobaticità espressiva
richiesta all’attore monologante, che deve sdoppiarsi nel personaggio
italiano e nel suo complementare Döppelganger d’oltreoceano.
Difficoltà che sia il testo di Meola, sia l’interpretazione di Ottaviano, superano eccellentemente. Del Sulfamidico
si è anche data lettura pubblica a Pozzuoli, alla presenza di anziane
rappresentanti delle associazioni “Madres de Plaza de Mayo” e
“Familiares de Plaza de Mayo”. Il loro plauso, la loro commozione, è
stato il miglior premio. A breve il lavoro verrà rappresentato
all’Ambasciata argentina.
Come il protagonista, tardi nella vita l’autore ha saputo che cosa stava
accadendo in Argentina negli stessi anni del Mondiale e dell’innocente
passione per il calcio di quel bambino che allora era. Ma com’era
possibile che gli adulti, in Europa e altrove, tutto sapessero e nulla
facessero? Il mondo accettava praticamente senza un fiato gli orrori
della dittatura militare, delle sue stragi e torture, di quella
terrificante desaparición, insomma, di decine di migliaia di persone,
tra lanci nell’oceano dagli aerei, bambini strappati alle proprie madri,
delazioni insensate (l’accusa era talvolta la semplice «timidezza» nel
plaudire al regime), in un’atmosfera da puro Orwell.
Il tutto fu meno spettacolare che in Cile, dove Pinochet, credendo di
passarla liscia al pari degli americani in Vietnam, aveva voluto
mostrare senza veli il suo golpe al mondo, stadio di Santiago gremito di
prigionieri e tutto. Non ebbe fortuna. Cosí quando toccò ai golpisti
argentini vedere cosa consentire che il mondo vedesse, scelsero la via
contraria, quella dell’occultamento. In ciò furono pionieri.
Ancora oggi, non è diffusa a dovere la nozione dell’entità di questo
pezzo infame della storia del basso Novecento. Davvero meritevoli dunque
lavori come quello di Meola, tanto piú in quanto messo a punto con
compiuto stile e vigore, e con un interprete piú che degno, Ottaviano,
che ha fatto vivere e tremare la tragedia, e gli spettatori con essa,
qui d’elettroshock narrato, qui di píetas, stasera, nel disadorno,
ascetico scenario di Officina Teatro.
Rimarchevole anche la padronanza della “scienza” calcistica che si
appalesa per tutto il testo, e può appassionare di riflesso anche chi
come il presente recensore non capisce di calcio e l’ha in odio o quasi.
L’amore per tale materia, che muove l’autore regista, a specchio
dell’amore che ne muove il personaggio, risulterà invero contagioso,
almeno per il tempo della recita; che in nessun momento sfiora la noia,
ma è sempre viva vita, anche mentre è di morte che si parla.
Aguzzini e vittime, d’altro canto, l’argentino, potevano esultare
davanti alla stessa partita perfino tortura innatural durante.
Addirittura, la camera degli orrori poteva essere situata sotto lo
stesso campo da gioco. I sotterranei vi erano normalmente adibiti. Né
c’era luogo che ne fosse indegno, nell’Argentina del tempo infelice.
Felice l’Italia. Si guardi il quadernone che, nella foto, è in grembo al
protagonista: vi collocava, narra, la congerie di dati relativi alle
squadre, alle partite; vi incollava figurine in doppione, a comporre
formazioni di fantasia; e delle squadre reali, intanto, nominava a
memoria finanche «i “Completano la rosa”». Si accostava al televisore e
cantava appresso il Te Deum di Charpentier siglante la
mondovisione; e credeva nella magia dei flussi energetici da sé stesso
uscenti, motore la concentrazione, a garantire il trionfo degli azzurri;
e…
«E basta con questo calcio!», lo riscoterà – anni dopo – lo straniero
incontrato in farmacia. Il cui discorso su ciò che accadeva
nell’oscurità mentre l’ipocrita mondo festava per quel Mondiale, infine,
gli spezza «ogni dolcezza del ricordo». Il giorno della qualificatoria
Italia-Inghilterra, 17 novembre 1976, era un mercoledí. Giorno di
“pulizie”, in Argentina. E noi spezziamo qui.
* Capua, via Seminario 10.
** Costumi: Annalisa Ciaramella. Assistente alla regia: Vittoria Scialdone.
*** Recensione – apparsa in www.teatro.org – relativa alla messa in scena del 9 maggio 2008 a Officina Teatro, San Leucio (Caserta).
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