La puntata n. 8 si terrà domenica 28 aprile... anzi si è già tenuta: il presente post, sebbene datato 22 aprile, è stato scritto il 30; perdonate il ritardo.
La puntata n. 7, intanto, si è articolata nelle seguenti parti:
Abbott Handerson Thayer, Minerva su un carro, 1894. |
Gioco del giardino di Circe
Dopo che si è accennato il dialogo di Circe e Meri dal Cantus Circæus (1582) di Giordano Bruno, i partecipanti, secondo le istruzioni ricevute da biglietti estratti a caso, hanno inscenato la propria trasformazione in diversi animali, a eccezione di pochi esseri rimasti umani e della Noia, quest'ultima però relativa non al Cantus bensì alla poesia d'apertura dei Fiori del male (1857) di Baudelaire, Al lettore, nel contempo recitata da Palasciano, che ha infine aizzato tutte le belve a sbranare il «delicato mostro».
Palasciano al leggio nel giardino di Villa Irene. |
Si è quindi trattato di capri espiatorii; del malvezzo di proiettare; di come, se sappiamo riconoscere negli altri un sentimento negativo, è perché di quegli stessi sentimenti siamo capaci noi; dell'opportunità di affrontare i propri «dèmoni interiori», anziché demonizzare le altre persone; di descensi ad inferos, labirinti e minotauri; di come le nostre parti psichiche lette come mostri non andrebbero uccise ma solo risistemate, ovvero del come incanalare sanamente gli istinti ferini; del debugging mentale; delle idee parassite che confliggono con la nostra autentica natura; della nevrosi ecclesiogena; di come, per migliorare sé stessi, sia utile liberarsi dei sensi di colpa causati dal non saper migliorare; di come anche sotto strati di «merda» si resti «diamanti»; del trialismo di corpo, mente e anima; della psiche come «la veste data dalla mente all'anima»; di come debbano esserci almeno tre piani dimensionali della realtà (mondo materiale, mondo delle pure anime, mondo del puro essere); di come l'atemporalità del mondo del puro essere consenta la deroga al principio causale; dell'eternità delle anime; del tutti orchestrale dei qualia, sorta di finale eterno, goduto nel mondo delle pure anime; del Gioco dell'incarnazione; di léthe e alétheia; di come la metafisica platonica intenda come una caduta il calarsi dell'anima nel mondo materiale, mentre la metafisica palascianiana lo intenda come un'immersione ludica; di come al mondo delle pure anime manchi la speranza; della necessità del mondo materiale, al fine di una completa felicità delle anime; di come si possa parlare di «caduta» quando, piuttosto, si tratti di regresso dalle istanze delle componenti più evolute della nostra mente alle istanze delle componenti più primitive; dell'allegoria del carro alato nel Fedro di Platone; di come nella metafisica platonica l'anima si collochi diacronicamente o nell'iperuranio o nel mondo sensibile, mentre nella metafisica palascianiana l'anima si colloca sincronicamente in tutti e due (anzi tre); dei campi Selva e Trogolo nella Ruota assiologica; dell'esempio di equilibrato conflitto fra componenti psichiche rappresentato da Alfa e Beta (genio strutturatore e fanciullo paranoico); delle carenze affettive, e di come esse possano ribaltare costruttività e amore in odio distruttivo; della figura di Coppelius nell'immaginario palascianesco; del romanzo di Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886).
Palasciano con la bottiglia del gioco di Jekyll e Hyde. |
Il giocatore di turno impersonava il dottor Jekyll che beveva da una bottiglia la sua pozione e si trasformava nel signor Hyde, per quindi tormentare tutti gli altri presenti scrutandoli e interpellandoli odiosamente. Sebbene gli fosse vietato toccare le loro membra, poteva sfogare i propri impulsi sadici, oltreché a parole, battendosi la bottiglia su un palmo, o altrove sul proprio corpo, nonché sul pavimento o sulle sedie. Infine, scelta una vittima, la costringeva a seguirlo al centro della scena; lì le rivolgeva i peggiori insulti, fino a sazietà. Dopodiché la vittima assumeva il ruolo di nuovo Jekyll, e la recita ricominciava da capo, con una nuova metamorfosi in Hyde, nuove odiosità e una nuova vittima. E così via.
Finale della lezione
Si è quindi trattato della filiazione di Hyde, per reazione, dalla morale vittoriana, e di come questa sia condotta all'esasperazione nel mostruoso caso della figlia di Lord Hicks (vedi puntata n. 3, Londra 1889); di come, in una mente repressa, bisogni autentici possano trovarsi sostituiti da bisogni alienati; dell'Ombra junghiana; di come l'inconscio possa aggirare in parte le censure del conscio tramite i sogni, la lettura dei tarocchi, altri giochi oracolari, giochi associativi come la dendrosintesi ecc.; della liberazione di amore, desiderio, angoscia e altri sentimenti ed emozioni; di come la rabbia non debba essere repressa, pena aumentato rischio d'infarto, ma incanalata; della proprietà analgesica delle imprecazioni; della dialettica fra tensione e rilassamento; dell'utilità dello psicodramma a sputare rospi.
Psicodramma: Qualcosa che non ti ho detto
Ciascuno ha pensato a una specifica persona, vivente, che abbia o abbia avuto gran peso, nel bene o nel male, nella vita del pensante, e che sia sempre nel suo pensieri. Quindi ha pensato a qualcosa che non aveva mai detto a quella persona, e che avrebbe voluto o dovuto dirle. Quindi, al proprio turno, è venuto avanti e ha scelto fra gli altri presenti qualcuno adatto a fare da controfigura della persona pensata (ma c'è stato chi ha preferito, come controfigura perfetta, un ciocco di legno), cui rivolgersi per dirgli quel qualcosa che a quella persona non si era mai detto.
Come ormai d'abitudine la puntata si è conclusa con una cena comunitaria. |
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